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25 anni senza Alberto Moravia

Il 26 settembre 1990 moriva Alberto Moravia. Romanzi diventati simboli dell’esistenzialismo novecentesco, un rapporto freddo ma costante con le donne della sua vita, e l’amicizia profondamente intellettuale con Pasolini: tutto questo era Alberto Moravia. Ecco un ricordo di cosa è stato, nei romanzi e nella vita, a 25 anni dalla sua scomparsa.
A cura di Federica D'Alfonso
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Una scrittura chiara, semplice, ma a tratti dura e difficile da interpretare superficialmente, come il suo profilo perennemente accigliato e pensieroso. Alberto Moravia è considerato uno degli interpreti più importanti dell'esistenzialismo novecentesco. Una concezione severa della propria epoca e della propria società, maturata già nel romanzo d'esordio "Gli indifferenti" del 1929, ed affinata e resa un vero e proprio paradigma del profilo intellettuale dello scrittore romano, in opere come "La romana", "Il conformista" e "Il disprezzo". Alberto Moravia ha attraversato il sentimento di un'epoca, elevandolo a dignità letteraria e creando personaggi rimasti nella memoria collettiva come simboli di un'Italia difficile da capire e rappresentare. Ma Moravia ha anche vissuto su di sé i turbamenti di una scrittura mai pronta a parlare di se stessa. Tanti i rapporti personali intensi costruiti in una vita, raccontati per ripercorrere, a 25 anni dalla sua morte, la vita e la scrittura di Alberto Moravia.

Una borghesia allo sfacelo, la decadenza morale e la totale assenza di spinta positiva verso qualunque aspetto della società, prendono forma gradualmente come uno sguardo critico che partecipa inevitabilmente, divenendone l'esempio più alto ed assoluto, di quel clima esistenzialista a partire proprio dagli anni degli Indifferenti matura in tutta Europa. Una vicenda concreta, sentita e radicata nel contesto storico del totalitarismo prima, della guerra e della ricostruzione poi, quella che vede dei personaggi che sono fondamentalmente dei vinti, vinti dalla loro apatia, dalla assenza totale di orgoglio e di dignità morale. La parabola più alta di questo racconto umano si avrà nel 1960 con il romanzo "La noia". Dino, nobile romano, vive insieme alla madre in una villa lungo la via Appia e trascorre il tempo dipingendo. È quasi patologicamente assalito dalla noia verso tutto ciò che lo circonda e, come già era stato per il padre, vive un conflitto costante e tremendo con la madre, simbolo dei valori borghesi così fortemente disprezzati.

In principio, dunque, era la noia, volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiatosi della noia, creò la terra, il cielo, l'acqua, gli animali, le piante, Adamo ed Eva; i quali ultimi, annoiandosi a loro volta del paradiso, mangiarono il frutto proibito. Iddio si annoiò di loro e li cacciò dall'Eden.

Il matrimonio con Elsa e la lunga storia con Dacia

Maraini, Morante e Moravia. Tre nomi destinati a rimanere per sempre vicini, non solo per l'ironica coincidenza che li vorrebbe insieme sullo scaffale di una libreria. Le due donne furono, la Morante prima, la Maraini poi, fortemente legate a quell'uomo descritto da entrambe come freddo, distaccato e inarrivabile. Elsa Morante era nata come Alberto nel 1912, a Roma. L'unione fra i due porta il segno di una delle esperienze più dure del Moravia uomo e scrittore: l'accusa di antifascismo che lo costringe alla fuga fra le montagne della Ciociaria, nel '43. Insieme, dopo appena due anni di matrimonio, Elsa ed Alberto vivono la clandestinità, l'incertezza e la dura vita dei ricercati: fu in quell'ambiente che Moravia trovò l'ispirazione per il suo famoso romanzo "La ciociara".

Alberto Moravia e Elsa Morante: la scrittrice ha appena vinto il Premio Strega, 1957
Alberto Moravia e Elsa Morante: la scrittrice ha appena vinto il Premio Strega, 1957

La guerra finisce, e gli anni Cinquanta portano al successo Elsa Morante con "L'isola di Arturo", ma sono anche il momento in cui la loro relazione, tormentata ed esasperata, si conclude. Alberto Moravia descriveva il sentimento che la giovane scrittrice provava per lui come "disperata dedizione", una dedizione che non poco infastidiva il duro e distante Moravia. Arido, egoista e difficile: così appare Alberto Moravia nel diario pubblicato postumo della Morante:

A. mi vuole bene, ma ogni tanto scappa via verso i più lontani paesi. Poi dice che bisogna finirla e poi mi prega di non finirla, per carità. In qualunque luogo e in mezzo a qualunque consesso rispettabile non finisce mai di farmi delle prediche e di arrabbiarsi a vuoto perché io al mondo non ci saprò mai stare. Vorrei, non so come dirti, fargli sentire delle parole bellissime, una musica tanto potente da riuscire a spiegargli che cosa è la vera bellezza della vita e del mondo. Lo vedo aggirarsi in quella sua specie di sotterraneo, agitarsi, dare schiaffi, annoiarsi e per quanto mi sforzi non riesco a portarlo via di là.

Dopo 26 anni di matrimonio, i due si lasciano definitivamente, e Moravia conosce Dacia Maraini, che sarà per molto tempo sua compagna, senza mai sposarlo. Un altro rapporto tutto particolare, quello fra Moravia e la scrittrice, all'epoca trent'anni più giovane di lui. Un rapporto durato quindici anni, fatto di viaggi, momenti di vita insieme ma non di letteratura. Alberto Moravia non amava leggere gli scritti della Maraini: lei stessa lo definiva come un uomo straordinariamente disponibile nei confronti della vita, molto meno della letteratura.

Dacia Maraini e Alberto Moravia nella loro casa, 1970
Dacia Maraini e Alberto Moravia nella loro casa, 1970

Era un uomo meraviglioso. Non ho mai pensato a lui in termini di sconfitta. È strano. Ma noto la stessa stravaganza tra le camicie rosa che acquistava e la morte che lo ha ghermito così rapidamente. Era quella che voleva. Voglio dire che in entrambe le situazioni c’è stata una segreta leggerezza.

Moravia e il cinema

Alberto Moravia con Sofia Loren e Vittorio De Sica, 1960
Alberto Moravia con Sofia Loren e Vittorio De Sica, 1960

Il rapporto di Alberto Moravia con il cinema è stato uno dei più intensi e produttivi del Novecento: fu regista e sceneggiatore del cortometraggio "Colpa del sole", ma ancora di più ispirazione per tutta una generazione di registi. Alberto Lattuada fu il primo a portare nel cinema il racconto "La freccia del fianco", e poi Luigi Zampa con "La romana" (1954): una magnifica Gina Lollobrigida nei panni di Adriana. Mario Monicelli, Damiani, Bertolucci, oltre che Jean Luc Godard con “Il disprezzo” nel 1963 e un grande Vittorio De Sica nel 1960 con "La Ciociara".

La ciociara, 1960
La ciociara, 1960

L'amicizia con Pasolini

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Quella fra Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini fu un'amicizia intensa, solida, di due personalità profondamente diverse, quasi diametralmente opposte. Dalla collaborazione sulla rivista "Nuovi Argomenti" al film-documentario "Comizi d'amore" girato da Pasolini nel 1965, il nome e la voce di Moravia compaiono sempre accanto all'amico, in un rapporto quasi di dipendenza antitetica fra due opposti modi d'intendere il mondo. Tutto, dalla passione per la letteratura alla riflessione sociale, dai viaggi in India e in Africa, fino al rapporto intenso di entrambi con il cinema e la televisione, ogni cosa era vissuta dai due in modi differenti, lontanissimi, se non opposti.

Esiste una fotografia dei due, scattata da Dacia Maraini negli anni Settanta, che ritrae Pasolini e Moravia insieme in occasione di un viaggio nel Mali: l'immagine di un momento di condivisione come tanti, di un viaggio in un paese profondamente amato da entrambi. Ancor prima c'era stato il viaggio in India, da cui un Pasolini giovanissimo, sedotto da quella terra, aveva tratto il poetico "L'odore dell'India", mentre Moravia, conoscitore ormai esperto dei segreti di quella terra, aveva scritto "Un'idea dell'India". Dacia Maraini, che insieme a Pasolini conobbe Alberto Moravia nel periodo più intenso della riflessione dello scrittore, li ha definiti così:

Alberto era "cartesiano", mentre Pier Paolo era a suo modo un sensitivo, credeva nell'intuito. Aveva spesso un tono profetico. Ma in comune avevano l'idea che lo scrittore sia un testimone. Non ha la verità rivelata, ma ha la verità di chi assiste ai fatti della sua epoca.

Moravia urlava quasi disperatamente il giorno dei funerali di Pier Paolo Pasolini: un urlo che suonò allora e ancora adesso come un rimprovero. "È morto un poeta": ma quel poeta per Alberto Moravia era stato prima di tutto un amico insostituibile.

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