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Violenza sulle donne: in Italia in 7 milioni hanno subito abusi

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. In Italia sono sei milioni e 788 mila le donne hanno subito nel corso della propria vita qualche forma di violenza, il 31,5% della popolazione femminile che ha tra i 16 e i 70 anni. Polemiche sugli strumenti per combattere gli abusi.
A cura di Claudia Torrisi
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Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza voluta con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999 dall'Onu. Per le Nazioni Unite, il 35% delle donne del mondo ha subito una violenza fisica o sessuale, da parte del proprio partner o di un'altra persona. Il nostro paese non fa eccezione: in Italia, secondo i dati Istat di giugno, sono sei milioni e 788 mila le donne hanno subito nel corso della propria vita qualche forma di violenza. Un numero che equivale al 31,5% della popolazione femminile che nel nostro paese ha tra i 16 e i 70 anni. Una violenza che può essere fisica, come nel 20,2% dei casi o sessuale (21%), fino ad arrivare fino a stupri o tentati stupri (5,4%).

In tutto nel nostro paese sono 652 mila le donne che sono state vittime di stupri e 746 mila di tentati stupri. Numeri in calo rispetto all'ultima indagine: negli ultimi cinque anni le violenze sono passate dal 13,3% all'11,3%, rispetto ai 5 anni precedenti il 2006. Nonostante sia diffusa la convinzione che ci siano gruppi sociali più pericolosi, la situazione è praticamente identica, sia che si parli di straniere o di italiane. Le due categorie hanno subito violenza fisica o sessuale in misura molto simile nel corso della loro vita: 31,3% contro 31,5%. La differenza, semmai, è nel "tipo" di violenza più frequente: fisica fra le straniere (25,7% contro 19,6%), sessuale tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Nonostante questo, le donne straniere corrono maggiormente il rischio di essere stuprate – il 7,7% di loro, contro il 5,1% delle italiane.

In 3 milioni 466 mila hanno subìto stalking nel corso della propria vita, il 16,1% della popolazione femminile. Un milione 524 mila di queste l'ha subìto dall'ex partner, 2 milioni 229 mila da persone diverse dall'ex fidanzato o marito.

La violenza e il "troppo amore"

Qualche giorno fa il Rapporto sulla violenza contro le donne e gli stereotipi di genere "Rosa shocking 2", curato da WeWorld Onlus, aveva fatto emergere un dato preoccupante sui giovani italiani tra i 18 e i 29 anni. Per il 32% di loro, gli episodi di violenza andrebbero affrontati tra le mura domestiche. Non solo: la violenza istintiva, il raptus, è per il 25% dei ragazzi "giustificato dal troppo amore", o dal fatto che le donne possano esasperare gli uomini. In effetti, anche secondo l'Istat, sono i partner – attuali o ex – a compiere le violenze più gravi: il 62,7% degli stupri è commesso da un convivente, un marito, un fidanzato, o qualcuno che lo è stato. Gli sconosciuti sono autori prevalenti di molestie sessuali – 76,8%.

Ma violenza tra le mura di casa vuol dire anche davanti a figli che assistono. Un numero in crescita, se si considera che le vittime con prole sono aumentate: dal 60,3% del dato del 2006 al 65,2% rilevato nel 2014. Nonostante questo, la violenza fisica e sessuale da parte di partner o ex partner è in calo rispetto all'ultimo rapporto Istat: dal 5,1% al 4% la fisica, dal 2,8% al 2% la sessuale. La diminuzione più sensibile è per la categoria delle studentesse: i casi passano dal 17,1% all'11,9% per gli ex partner, dal 5,3% al 2,4% per partner attuale e dal 26,5% al 22% per gli sconosciuti. Sono scesi anche gli episodi di violenza psicologica da parte di fidanzati o mariti: il dato è di 26,4% contro il 42,3%. Il fatto che le donne riescano a uscire da relazioni violente significa, per l'Istat, che sempre più spesso considerano le vessazioni subite un reato – dal 14,3% al 29,6% per la violenza da partner- e, conseguentemente, le denunciano alle forze dell'ordine. Un numero in crescita ma ancora basso: dal 6,7% all'11,8%. La violenza viene più spesso confidata a qualcuno (dal 67,8% al 75,9%) o raccontata verso centri specializzati o sportelli (dal 2,4% al 4,9%). Una situazione che riguarda non solo le vessazioni subite in casa o dal partner, ma anche dagli sconosciuti.

Se da un lato ci sono segnali positivi, dall'altro le violenze sono diventate più gravi. Sono aumentate quelle che hanno causato ferite, passate dal 26,3% al 40,2% tra quelle a opera dei partner. Ed è cresciuto anche il numero delle donne che hanno temuto per la propria vita: dal 18,8% del 2006 si è arrivati al 34,5% del 2014.

Poca trasparenza nei fondi per i centri antiviolenza

Il governo con la legge 15 ottobre 2013 n. 119 – la "legge sul femminicidio" – ha stanziato 17 milioni di euro (diventati poi 16 milioni e 450 mila) per il biennio 2013/2014 destinati alle case anti violenza e ai centri rifugio per donne in difficoltà. Il dipartimento Pari Opportunità ha pubblicato questa settimana un monitoraggio che sintetizza l’entità e l’uso dei fondi nazionali arrivati alle Regioni.

Secondo una ricerca di ActionAid, però, solo sette amministrazioni locali – Veneto, Piemonte, Puglia, Sardegna e Sicilia, Firenze e Pistoia – fanno sapere in modo chiaro e trasparente come stanno utilizzando i fondi. Per le altre i dati sono frammentari, deducibili reperendo altri atti amministrativi o recuperabili a causa del numero ridotto di strutture presenti. Per il resto delle Regioni non è stato invece possibile reperire alcun dato. Per Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid, "la mancanza di dati e informazioni complete su come sono stati spesi i fondi stanziati attraverso la Legge 119/2013 rimane un fatto grave. La trasparenza è un presupposto per poter valutare gli interventi e disegnare strategie future".

Secondo l'analisi, il finanziamento medio per centro varia molto da Regione a Regione: circa 60mila in Piemonte, 30 mila in Veneto e Sardegna, 12mila euro in Puglia, 8 mila in Sicilia, 12 mila nelle ex province di Firenze e Pistoia, 6mila in Abruzzo e Val d’Aosta. In Veneto – una delle Regioni più trasparenti – non si è riusciti a erogare tutti i fondi stanziati tramite bando per carenza di strutture idonee. Tra gli enti più trasparenti c’è anche la Sicilia, "che ha reso reperibile la lista dei centri ma ha deliberato in ritardo – nella primavera del 2015 – rispetto alla scadenza fissate dal Governo a fine dicembre 2014".

Secondo la rete dei centri antiviolenza Di.Re – Donne in Rete contro la violenza, gran parte di quanto stanziato nel 2013/2014 non è arrivato a destinazione. Tra l'altro, "in sole sei Regioni c’è stato confronto fra l’Ente locale e le Associazioni per impostare la spesa. Nella stragrande maggioranza delle Regioni i finanziamenti non sono ancora stati spesi e talvolta non si è provveduto neppure all’impegno. Molti uffici regionali tendono a distribuire le risorse a fruitori non specializzati, anche senza alcuna esperienza. Manca una valutazione delle priorità per le donne che subiscono violenza, che può essere fatta soltanto ascoltando i Centri e le Case che operano già da anni e conoscono bene le fragilità del sistema".

La Convenzione di Istanbul

L'Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, più nota come Convenzione di Istanbul, uno strumento con lo scopo di "prevenire e contrastare la violenza intrafamiliare e altre specifiche forme di violenza contro le donne, di proteggere e fornire sostegno alle vittime di questa violenza nonché di perseguire gli autori".

Secondo le legali delle case delle donne e dei centri antiviolenza della D.i.Re, però, nel nostro paese sarebbero diffuse alcune prassi giudiziarie che minano l'attuazione degli obiettivi della convenzione. Per l'associazione, "l’accesso alla giustizia e la conseguente richiesta di tutela per la propria incolumità psicofisica è pregiudicato dalla non tempestività dell’intervento da parte degli operatori coinvolti in violazione degli articoli 49 e 50 della Convenzione". Le forze dell'ordine "non sempre trasmettono con immediatezza la notizia di reato alle Procure, così ritardando l’immediata iscrizione della notizia di reato e lasciando la donna priva di tutela proprio nel momento di massimo rischio per la sua incolumità". Dopo la presentazione della denuncia, infatti, solitamente l'uomo diventa più violento, per punire la scelta della donna.

Le legali lamentano poi il fatto che spesso l'autorità giudiziaria sottovaluti la pericolosità dell’uomo violento: "non si applicano le misure cautelari idonee a prevenire fatti di violenza più gravi di quelli denunciati, poche volte si procede, in caso di violazione della misura cautelare, all’aggravamento delle stesse, troppo spesso la misura cautelare perde di efficacia prima della sentenza di primo grado". Prassi che per l'associazione violano gli obblighi della Convenzione. "Non è un caso che nella maggioranza dei casi le donne sono state uccise dai partner o ex partner dopo aver presentato la querela".

Di.Re denuncia ritardi anche in sede civile – otto/dieci mesi per un'udienza di separazione – e poche tutele tutele per i minori: "troppo spesso viene disposto l’affidamento condiviso dei figli minori senza tener conto della pendenza di un processo penale per maltrattamenti nei confronti del padre oppure dell’applicazione di misure cautelari emesse dal tribunale penale e, a volte, anche della sentenza di condanna per maltrattamenti".

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