81 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

“Vi spiego perché Trump sta mettendo in pericolo l’economia mondiale”

L’analisi di Paolo Grassi, ex vicepresidente dell’AIG (American international group) e oggi consulente per start up e operazioni commerciali internazionali verso gli Usa, sulle scelte del Presidente statunitense in campo economico.
A cura di Redazione
81 CONDIVISIONI
Immagine

In queste ore al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di certo non mancano grattacapi. Eppure nel sussulto generale dati dagli eventi più recenti, occorre non farsi sfuggire l'andamento del punto di forza maggiore dell'economia americana: il flusso degli investimenti esteri che arrivano nel paese (diversamente indicati con l'acronimo Fdi, Foreign direct investments) è sensibilmente in calo. Andamento che potrebbe determinare non solo un giudizio negativo sulle politiche della Casa Bianca, ma cosa che più preoccupa, la decrescita dell'economia statunitense.

Causa la politica anti-immigrazione, l'uscita dalle trattative per il Trans-Pacific Partnership (tpp) con i paesi asiatici e i cambiamenti già annunciati per le principali operazioni commerciali statunitensi verso l'estero, gli Usa rischiano di pagare un conto grosso in termini di importazioni e di aperture di nuove sedi di aziende internazionali nel proprio territorio.

A spiegare cosa sta accadendo nel settore investimenti è Paolo Grassi, ex vicepresidente dell’AIG (American international group) e oggi consulente per start up e operazioni commerciali internazionali verso gli Usa per lo studio legale newyorkese Gibney Anthony & Flaherty, cui si è associato.

«Gli Usa sono il paese con il maggior numero di consumatori al mondo, ma quello che ha da sempre aiutato molto questo paese è l'ambiente» spiega il professionista. «Al contrario di quello che si pensa il fattore psicologico ha una grossa influenza sugli investimenti. Le Start up arrivano qui non solo perché ci sono le risorse per finanziare le iniziative ma anche perché c'è lo spirito giusto, un ambiente ideale. Ma se si crea un'atmosfera ostile agli ‘stranieri', l'interesse verso gli Usa potrebbe calare sensibilmente».

Secondo i dati del Bureau of Economic Analysis del Dipartimento Usa del Commercio, in termini di stock di investimenti diretti, le cose già sarebbero cambiate. Nel gennaio del 2017 gli investimenti sono scesi a 23 milioni di dollari, contro la punta più alta del luglio del 2016 laddove si erano sfiorati i 42 milioni di dollari. Un trend che non fa ben sperare.

«Volendo essere schematici esistono due tipi di investimenti: quello di chi decide di costruire o di acquistare un immobile e chi invece porta soldi con la propria azienda. Ci sono una serie di prospettive allettanti date dallo scegliere un investimento negli Usa ma certamene un imprenditore europeo, ad esempio, può anche scegliere di rivolgersi altrove prima di venire qui. Ed è proprio quello che recentemente mi è capitato di constatare nel mio lavoro. Più di qualche azienda a seguito dell'atmosfera che si è creata qui, non per specifiche azioni politiche, ma appunto per un diffuso sentire, hanno deciso di optare per altre mete».

Nonostante i dati già in calo, c'è ancora una "via d'uscita", piuttosto singolare: «Non credo che Trump metterà a punto tutte le misure annunciate. Alcuni dei progetti di cui aveva parlato, tra cui la costruzione del muro al confine con il Messico sono inattuabili, e per altri risulta sempre necessaria l'approvazione del congresso. L'abbandono della linea ‘dura' che a me sembra inevitabile, chiaramente verrà percepita come un segnale positivo dagli investitori e quindi il trend tornerà a crescere».

Ma al momento, al cospetto di cose tante e importanti incertezze, gli addetti ai lavori navigano a vista.

«Se gli Stati Uniti continueranno a mantenere il proprio status, quella appunto della meta di investimento più attrattiva al mondo – spiega Grassi – dipende in gran parte dagli sviluppi macroeconomici futuri e dalla situazione finanziaria. Gli Usa rappresentano ancora il più alto mercato mondiale, ma la politica ha grandi responsabilità. Personalmente sono dell'idea che in un mondo globalizzato come quello in cui viviamo non ci sia spazio per il protezionismo, ma certamente ci sono scuole di pensiero opposte».

L'aumento delle tasse sui prodotti importati, il rimpatrio delle catene di approvvigionamento internazionali su cui si affidano molte multinazionali statunitensi, sono tutte mosse che vanno nella direzione dell'isolazionismo. Che se è solo retorica suscita timore ma non produce danni, se invece diventa una scelta politica concreta allora si corre il rischio che l'economia statunitense e non solo, possa cambiare volto.

A cura di Marianna D'Alessio

81 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views