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Un prestito per andare in pensione anticipata: ecco quanto costerebbe

La proposta per la flessibilità in uscita avanzata da Nannicini dell’Esecutivo Renzi continua a far discutere. Ma, opinioni a parte, che cosa materialmente accadrebbe nel momento in cui un lavoratore dovesse accettare le condizioni imposte dall’Ape per l’uscita anticipata? Le simulazioni ci aiutano a comprendere in che percentuale, a seconda del reddito, la rata di rimborso del prestito potrebbe incidere sul futuro assegno mensile.
A cura di Charlotte Matteini
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Inps pensione

La proposta sperimentale relativa alla pensione anticipata per il triennio 2017 – 2019 , che prevede per i dipendenti pubblici e privati nati dal 1951 al 1953 di lasciare il lavoro qualche anno prima rispetto alla scadenza naturale grazie alla sottoscrizione di un prestito erogato da istituti bancari convenzionati e da rimborsare nell'arco di un ventennio, continua a far discutere. I sindacati, sentita la proposta avanzata da Nannicini, si sono detti parzialmente d'accordo con l'impostazione del cosiddetto Ape, sigla che sta a individuare la denominazione "anticipo pensionistico". Ma come funzionerebbe questa proposta per la flessibilità in uscita, materialmente? Corriere della Sera e Repubblica hanno provato a fare qualche simulazione per mostrare alla platea potenzialmente interessata che cosa accadrebbe nel momento in cui un pensionato dovesse accettare la proposta messa sul piatto dal Governo Renzi. Si potrebbe andare in pensione fino a 3 anni prima, pagando però il rimborso del prestito concesso da una banca accreditata per i successivi vent'anni, rinunciando quindi, per le fasce di reddito più alte, fino al 15% dell'assegno mensile. La platea potenzialmente interessata dalla proposta sarebbe costituita da circa 30 – 40 mila soggetti, in particolare i nati nel 1953.

Anziché andare in pensione a 66 anni e 7 mesi, come impone attualmente la riforma Fornero, il dipendente pubblico o privato potrebbe decidere di lasciare il proprio lavoro in anticipo, fino a un massimo di 3 anni. Questi tre anni di mancati versamenti contributivi verrebbero coperti da un prestito erogato mediante l'Inps e garantito da un istituto assicurativo che, in caso di morte del debitore entro gli 86 anni e 7 mesi – scadenza ultima del prestito -, restituirebbe la restante somma erogata dalla banca senza potersi rivalere su alcun erede del pensionato deceduto. La proposta è ancora in fase embrionale, non è dato conoscere l'ammontare del tasso di interesse massimo che verrà applicato, ma si vocifera si attesterà sulla soglia dell'1,5% massimo.

In una proiezione elaborata dalla Uil, viene ipotizzato un tasso del 3%, il che significherebbe, per un pensionato da 2.500 euro mensili una decurtazione pari al 20% dell'assegno mensile per ripagare l'anticipo dei 3 anni di versamenti contributivi coperto dall'istituto bancario convenzionato. Un quinto della pensione netta, una rata troppo alta per essere reputata conveniente dal pensionando. Ovviamente, più basso sarà l'assegno pensionistico, più basso sarà l'importo della rata del rimborso. Sono infatti previste una serie di detrazioni fiscali, con una copertura da circa un miliardo di euro, destinate a esodati e percettori di redditi bassi che serviranno a coprire in parte o totalmente a quota di interessi del prestito e, in alcuni casi, anche parte della quota capitale, in modo tale da rendere più leggera la rata e, di conseguenza, più conveniente per il pensionato ricorrere all'Ape, soprattutto nel caso in cui fosse costretto ad anticipare la pensione per cause di forza maggiore indipendenti dalla sua volontà.

Secondo i calcoli effettuati da Progetica, un lavoratore nato nel giugno del 1953 che abbia un reddito mensile pari a 2 mila euro netti, potrà vedersi erogato un assegno pensionistico pari a 1.703 euro al mese. Nel caso in cui dovesse optare per l'Ape e un'uscita anticipata di tre anni, l'assegno verrebbe decurtato del 10%, e il pensionato riscuoterebbe 1.542 euro netti al mese. La restituzione del prestito partirebbe esattamente 3 anni dopo, ovvero alla fine del periodo anticipato. Da quel momento, quindi, il pensionato comincerà a restituire 240 euro al mese e il suo assegno sarà pari a 1.301 euro mensili per i successivi vent'anni, pari al 24% in meno rispetto agli iniziali 1.703 euro. Nel caso in cui dovesse scegliere di anticipare la pensione di due anni, il taglio ammonterebbe al 15% circa. Un solo anno di anticipo? Meno 7% rispetto all'ammontare dell'assegno mensile.

Uno dei punti più controversi della proposta è l'assicurazione in caso di morte che verrebbe stipulata per avere la certezza di rifondere la banca delle restanti somme in caso di decesso del debitore. Come precedentemente accennato, al vaglio non è prevista la possibilità di rivalsa da parte dell'istituto bancario sugli eventuali eredi del pensionato e, dato che il prestito andrà restituito in 20 anni – ma la speranza di vita media di un pensionato, dati Istat, è pari a 19 anni dall'entrata in pensione – stando a questi calcoli, le assicurazioni dovranno sobbarcarsi in media la copertura di almeno un anno di mancata riscossione delle rate rimanenti. Anno che, in mancanza di nuovi correttivi o proposte, verrebbe coperto dalle casse pubbliche.

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