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Un bimbo fatto a pezzi e messo in scatola, la campagna “choc” dei vegani

Una provocazione mirata a far “convertire” chi mangia la carne, dicono le associazioni promotrici. Ma la campagna pubblicitaria non è piaciuta a tutti.
A cura di Biagio Chiariello
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bimbo fatto a pezzi vegani

Un manifesto pubblicitario esposto a Grosseto (quello nella foto, ma ce ne sono anche in giro a Pordenone e Torino) ritrae un bambolotto, molto simile ad un bambino, confezionato in un involucro di cellophane, a mo' di carne da supermercato pronta per essere venduta. Sopra campeggia la scritta: "Chi mangi oggi?", seguito da: "Gli animali non sono cose. Quando li mangi o li sfrutti, mangi qualcuno. Non qualcosa. Diventa vegano". Un'immagine che a vederla sembra quasi una sfottò sulla falsariga delle leggende sul cannibalismo sovietico o sui cinesi che mangiano bambini. In realtà, l'intento delle due diverse associazioni – "Campagne per gli animali" e "Associazione d’Idee onlus" – è assolutamente serio, come spiega pure il Corriere del Mezzogiorno.Si sa che i vegani escludono dal proprio regime alimentare qualsiasi prodotto di origine animale, con l'auspicio della fine dello sfruttamento degli animali per la nutrizione umana.

La Confederazione Italiana Agricoltori di Cuneo però non l'ha presa molto bene: “A giudicare da certe campagne pubblicitarie – ha affermato in merito al cartellone apparso su un'arteria molto trafficata di Torino – la dieta vegana fa male anche al cervello”. La replica di "Campagne per gli animali"? "Il nostro intento era esattamente questo", si legge in una nota sul sito dell'associazione, in cui i vegani provano a spiegare le ragioni della campagna pubblicitaria: "Riteniamo interessante dal punto di vista antropologico evidenziare che la fotografia di un bambolotto rappresentante le fattezze di un bambino umano smembrato e impacchettato, suscita generalmente indignazione e disgusto, mentre le continue e quotidiane pubblicità raffiguranti i corpi degli animali non umani smembrati e impacchettati in varie modalità non provocano lo stesso disgusto, anzi al contrario paiono universalmente accettate".

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