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Se anche l’Italia tortura Giulio Regeni

Quali sono in realtà “tutte le azioni possibile” che il ministro Gentiloni ha promesso di mettere in campo? Perché l’idea che ci si fa guardando da fuori è che l’Italia, in tutto questo marasma di bugie, fingimenti e posizioni strumentali fatichi non poco a farsi ascoltare. La verità su Giulio Regeni per ora ha vissuto la fase dello sdegno ma fatica a passare alla declinazione politica nella ricerca di soluzioni diplomatiche che costringano davvero il governo egiziano a dare delle risposte.
A cura di Giulio Cavalli
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Alla fine la realtà ha superato la fantasia e l'impudico balletto sul cadavere di Giulio Regeni scrive una nuova scena che supera la capacità di qualsiasi (pessimista) immaginazione: Lucio Barani (verdiniano misconosciuto noto alle cronache solo per un gestaccio a una grillina) e Francesco Amoruso (ex Alleanza Nazionale oggi in Forza Italia), due senatori italiani, prendono un aereo per l'Egitto e si fanno intervistare dalla televisione egiziana per dire che no, che l'Egitto e le autorità egiziane non c'entrano nulla con la morte del giovane ricercatore italiano, che il corpo dimostrerebbe che non sia stato torturato (versione tra l'altro su cui concordano tutti) e che siamo di fronte ad un «depistaggio» dei soliti «servizi segreti deviati» al soldo di una non precisata «potenza straniera» contro il Presidente Al Sisi.

Ci sarebbe da sorridere attoniti per una così alta concentrazione di boiate se non fosse che i due sono elementi della maggioranza di governo. Anzi, lo stesso Barani dice di parlare «a nome di un importante gruppo parlamentare determinante per la maggioranza di governo» senza lasciare nessun dubbio all'intervistatore. L'intervistatore, poi, non è nemmeno un giornalista, no, sarebbe troppo facile: Mohamed Abul Enein è un grosso imprenditore della ceramica già finanziatore di grandi opere e molto vicino al deposto ex presidente egiziano Mubarak, uno che ha sempre dichiarato che gli operai non possono pretendere troppi diritti e con una patriarcale concezione del lavoro. Singolare che a commentare la morte di un appassionato studioso di diritti sindacali sia stato scelto un padrone della peggior specie. Ma tant'è.

Comunque Barani ha dichiarato candidamente: «Capiamo il rifiuto dell’Egitto di fornire milioni di tabulati telefonici agli inquirenti italiani… giorni fa a Ginevra hanno quasi ucciso due italiani, ma non c’è stato tutto questo trambusto. Una prova che ci sono tentativi di provocare l’incidente…Osserviamo che c’è chi vuole rovinare le relazioni culturali, politiche e sociali e in particolare quelle economiche con l’Egitto … quanto successo a Regini è una tragedia, ma quel che succede oggi ha obiettivi politici ed economici, noi ci rendiamo perfettamente conto che il governo egiziano e il presidente Sisi non sono coinvolti in questo caso».

Partendo dal presupposto che si inimmaginabile (e strumentale) pensare che davvero le parole di Barani possano minimante essere condivise dal governo rimane però il dubbio di come l'Italia ne esca da questa vicenda che, dopo l'incontro tra le procure italiana e egiziana e il ritiro dell'ambasciatore italiano al Cairo, sembra non portare nessuna novità. Mentre il David di Donatello (e i social) si riempiono di messaggi e simboli che chiedono la verità sulla morte di Regeni l'Italia sembra incapace di farsi ascoltare, di essere presa in considerazione, forse anche di apparire davvero "temibile" per Al Sisi e il suo governo. È possibile sapere concretamente in cosa consiste "tutto l'aiuto che serve" che gli USA ci hanno assicurato? Quali sono in realtà "tutte le azioni possibili" che il ministro Gentiloni ha promesso di mettere in campo?

Perché l'idea che ci si fa guardando da fuori è che l'Italia, in tutto questo marasma di bugie, fingimenti e posizioni strumentali fatichi non poco a farsi ascoltare. La verità su Giulio Regeni per ora ha vissuto la fase dello sdegno ma fatica a passare alla declinazione politica nella ricerca di soluzioni diplomatiche che costringano davvero il governo egiziano a dare delle risposte. Potrebbe essere che tutto il lavoro, è vero, venga fatto sotto traccia ma allora ci si chiede che senso avrebbe nascondere l'azione politica sotto il silenzio rischiando tra l'altro di dare una debolissima immagine di sé. C'è qualcosa che non torna, no, sulla morte di Giulio e sorge il dubbio che, al solito, qualcuno confidi nel tempo che diluisce le pulsioni della ricerca della verità. Intanto, ad esempio, una presa di distanza e una censura alle parole dei due senatori desaparecidos sarebbe un buon primo passo. No?

Altrimenti finisce che lo torturiamo anche noi, Giulio.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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