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Rendimenti da record sui buoni fruttiferi, ma Poste Italiane non paga i risparmiatori

La diatriba riguarda migliaia di buoni fruttiferi delle serie M, N, O e P, emessi fra il 1974 e il 1986. Le Poste sono disposte a pagare solo la metà, nonostante diversi tribunali italiani stiano dando ragione ai risparmiatori. Una sfida a colpi di ricorsi che sembra destinata a durare ancora diversi mesi.
A cura di B. C.
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I risparmiatori che possiedono dei buoni fruttiferi delle serie M, N, O e P, emessi fra il 1974 e il 1986, hanno in tasca un vero e proprio tesoro. Il problema è che le Poste e la Cassa Deposti e prestiti, sono disposti a liquidarne solo metà importo. Come evidenzia Repubblica, la questione ha assunto risonanza mediatica lo scorso ottobre quando il tribunale di Savona ha dato ragione ad un risparmiatore che nel 1983 aveva investito un milione delle vecchie lire in un buono fruttifero delle Poste che ora ha raggiunto un importante rendimento: 16mila euro. Poste Italiane intende pagarne solo la metà, 8mila appunto. Da qui il ricorso in appello. Dalla stessa società poi fanno sapere questi “sono i titoli di risparmio più remunerativi mai venduti da un ente pubblico, contassi demenziali già per i tempi, basati su previsioni sull’andamento dell’inflazione anno per anno che si sono rivelate semplicemente sbagliate”.

Il problema risale a trent’anni fa. Era il primo luglio 1986 quando il governo decise di adeguare i rendimenti dei buoni all’inflazione, che dal 16% del 1976 era scesa in dieci anni al 6%. Il riferimento è al decreto ministeriale 148, noto anche come decreto “Gava-Goria” per cui tutti i buoni emessi dopo il 1 luglio 1986 – serie Q e successive – producono rendimenti dimezzati rispetto a prima, un taglio che si è applicato anche retroattivamente sui buoni emessi dal 1974 in poi. Chi possiede buoni trentennali emessi tra il ‘74 e il ‘75 non può più incassarli, visto che erano pagabili entro 10 anni dalla scadenza. Chi invece possiede buoni emessi tra il 1976 e il luglio 1986 può ancora recarsi ad un ufficio postale e chiederne la liquidazione.

Il dilemma è proprio qui: all’atto della richiesta, le Poste erogano metà dell’importo. Da qui il ricorso di numerose associazioni dei consumatori ai tribunali di tutta Italia. Ma le stesse Poste minacciano: “Consigliamo ai risparmiatori di non spendere gli importi che il giudice di primo grado dovesse riconoscere loro, visto che in ogni caso faremo ricorso in appello e potrebbero essere costretti a restituirceli”.

Sono infatti diversi i risparmiatori che hanno la (mezza) fortuna di possedere buoni emessi fra il 1976 e il luglio 1986:

C’è per esempio don Antonio, parroco a Massa di origini brindisine, che si è rivolto all'associazione di consumatori Agitalia reclamando 898mila euro. A tanto, infatti, ammonta il rendimento di una cartella da 50 milioni di lire che ricevette in dono dal padre nel 1976, nel giorno in cui fu ordinato sacerdotee Poste gli hanno riconosciuto 449mila euro, in base agli interessi calcolati secondo il decreto Gava-Goria, ma il prete ha avviato un'azione legale per avere la differenza. Molto simile è la vicenda di Giovanna Russo, musicista cremonese residente a Fermo. Il 22 aprile del '76, per il suo battesimo, i genitori le regalarono un buono da 5 milioni di lire. Alla scadenza, le Poste le hanno rimborsato 45.651 euro, lei ora ne pretende altrettanti. Nel nord Italia le contese sono tanto numerose che l'associazione Adusbef ha istituito in Veneto e Lombardia un servizio legale ad hoc.

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