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‘Ndrangheta, arrestati ex capo e vice della Squadra Mobile di Vibo Valentia

I due poliziotti accusati di concorso esterno in associazione mafiosa per aver aiutato la cosca Mancuso passando informazioni riservate e nascondendo reati.
A cura di A. P.
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L’ex capo della squadra mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento, e l’ex vice dello stesso ufficio della polizia, Emanuele Rodonò, sono stati arrestati questa mattina dai colleghi della squadra mobile di Catanzaro con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I due poliziotti, attualmente uno in servizio alla Questura di Messina e l'altro al reparto mobile di Roma, sono al centro di una complessa indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sugli affari illeciti della cosca di ‘Ndrangheta Mancuso. Secondo gli inquirenti, i due agenti erano uomini dello Stato al servizio della cosca alla quale fornivano informazioni sulle inchieste che li riguardavano,  nascondendo al contempo reati gravi. Anzi secondo l'inchiesta della Dda, i due vertici della Mobile di Vibo Valentia su richiesta dei clan loro amici in alcuni casi aprivano le indagini sui clan rivali. Per gli inquirenti i due avrebbero  "omesso lo svolgimento di qualsiasi attività investigativa su tale sodalizio criminale in palese violazione dei propri doveri di ufficio" non trasmettendo ai magistrati "le segnalazioni sulla possibile esistenza di reati" e "concentravano le attività investigative del reparto da loro diretto nei confronti di un cartello di cosche avverse ai Mancuso".

I rapporti dell'avvocato dei Mancuso – Nella stessa operazione questa mattina i carabinieri del Ros hanno arrestato anche il legale di fiducia dei Mancuso, l'avvocato Antonio Carmelo Galati, che è accusato invece di associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti era proprio attraverso l'avvocato Antonio Galati che l'ex capo della Mobile di Vibo, Maurizio Lento, e il suo vice, Emanuele Rodonò, avevano rapporti con i boss dei Mancuso. Nell'inchiesta è emerso inoltre che Galati vantava amicizie importanti in procura e per questo era riuscito ad inserirsi anche nelle lotte interne ai giudici alimentando dissapori e delegittimando alcune toghe "attraverso la costruzione di veri e propri dossier".

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