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Migranti, almeno la Cei eviti di inseguire Salvini sul suo terreno

Matteo Salvini non parla di immigrazione e nemmeno di rifugiati, non parla di identità nazionale e nemmeno di solidarietà: Matteo Salvini ha messo all’inumanità il vestito elegante dell’emergenza. E corre l’obbligo di non mettere piede nella sua lurida arena.
A cura di Giulio Cavalli
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Matteo Salvini è furbo, non particolarmente intelligente forse, ma furbo abbastanza per aver capito in fretta quanto in politica paghi la capacità di decidere i confini del ring: se strattoni qualcuno nella tua arena di discussione chiudendogli tutte le uscite vinci. Matteo Salvini non parla di immigrazione e nemmeno di rifugiati, non parla di identità nazionale e nemmeno di solidarietà: Matteo Salvini ha messo all'inumanità il vestito elegante dell'emergenza e ce la pone in continuazione come se fosse davvero potabile, addirittura abbastanza nobile da meritarsi di diventare oggetto di discussione.

Così succede che chiunque tenti di confutare le tesi di Salvini o contrastarne le opinioni finisce nell'agone "salvinico", quello di rabbia sfogata senza inibizioni, del diritto di essere inetti portatori di sola bile o di rivendicare lo strazio degli altri come ammorbidente delle proprie sfortune. Matteo Salvini è "il buttadentro" che sta sulla porta del locale della sua grettezza abitata con baldanzosa esperienza. Come quelli che sudati sotto un finto frac tentano di vendere un'amatriciana agli americani di passaggio. Così.

Matteo Salvini non parla di flussi migratori: Salvini è il solleticatore delle paure di questo nostro tempo dove la disperazione (intesa nel suo senso originale di assenza di speranza) ha bisogno di trovare una forma per farci meno paura. Oggi quella forma sono i profughi, ieri erano i terroni, ogni tanto sono i dipendenti pubblici e in un futuro potrebbero essere anche le mosche, i ragni o le zanzare, non importa cosa, l'importante è che si possano temperare abbastanza per poter diventare la punta di una depressione sociale che ha bisogno di spigoli per dichiararsi costretta. Il salvinismo funziona e s'ingrossa quando macerano l'ansia e il sospetto. Come l'umidità per i funghi.

Alla fine, bene o male, ci sono caduti tutti nella trappola fin troppo facile del salvinismo e questo suo piallare il senso politico di un tema per grattugiarlo in un colore della pelle, in una puzza o in una malattia: ora anche la CEI, con il segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana monsignor Nunzio Galatino, è finita nella morsa della discussione superficiale con l'accusa di essere "piazzisti e raccattare voti", la risposta leghista (e non solo) del "portateli in Vaticano" e i vescovi che ribattono "venga a vedere che noi li ospitiamo anche in casa, se serve".

Attenzione, qui ora non si discute del torto o della ragione ma ci si sofferma sulla piega che il confronto ha preso spingendosi sulla discussione dell'ospitalità personale. "Teneteveli voi!" ha tuonato come un mantra Salvini, "certo, facciamo anche questo!" gli hanno risposto gli altri. E il dolore? La solidarietà? Il dovere di un popolo nel tendere la mano a chi sta indietro? La semplicità che sta nell'ingiustizia di nascere semplicemente nel posto sbagliato? Niente: ancora una volta si finisce lì, giù per il buco del banale e tutto il resto rimane poesia, vezzo per buonisti, finzioni cattoliche, aria fritta degli idealisti.

Le posizioni di Matteo Salvini (ma attenzione non sono le sue posizioni ma semplicemente il verso migliore per impugnare il cappio durante il confronto) sono anticostituzionali perché smentiscono lo spirito di uguaglianza sancito dalla fondazione di questo Paese, sono anticristiane perché si costruiscono su un elenco di priorità in cui l'accoglienza è un fallimento, sono contrarie ai diritti dell'uomo riconosciuti internazionalmente ma soprattutto sono vigliacche. Vigliacche perché fanno leva su un sentimento che non ha la pasta del pensiero, non ha il profilo dell'intelligenza ma banalmente sbrodola dall'ignoranza e dalla paura. Essere d'accordo con Salvini non significa essere ammaestrato da un piazzista travestito da politico ma significa non avere le basi etiche, morali e giuridiche per essere un cittadino di un Paese moderno.

E se davvero l'inconsistenza della politica continua a permettere il giochino del dito e la luna, se è vero che i nostri "intellettuali" non si prendono la briga di bagnarsi in una discussione in cui la corrente è grassa e forte almeno la Chiesa non accetti di saltare a piè pari l'umanità per entrare in quel recinto di fango e porci in cui ingrassa Salvini e il salvinismo. Almeno loro. Che lo facciano per eleganza, per pulizia o addirittura per senso di superiorità, non importa il perché ma non si faccia trascinare nell'arena.

Ci vuole coraggio oggi ad essere buoni, ci vuole un pazienza monacale per trascinare le discussioni almeno sopra il limite della potabilità, ci vuole il fegato di opporre il pensiero a chi ti porge il ragionamento unto delle proprie interiora. Ci vuole fede. Sì, fede. Nel senso laico o cattolico del termine. Fede per arrivare alla profondità che non è mai stata così scomoda e angusta.

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