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Mafia, blitz a Corleone. Intercettato e arrestato nipote Provenzano: “Falli piangere”

L’operazione è frutto di un’inchiesta sul mandamento mafioso di Corleone e delle famiglie di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano. A far scattare le indagini è stato l’atto d’accusa di otto imprenditori che hanno ammesso di aver pagato il pizzo alla mafia.
A cura di Susanna Picone
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A Corleone, all’alba di stamane i Carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di dodici persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamento. L'ordinanza è stata emessa dal gip di Palermo su richiesta della Procura distrettuale. Per altre due persone è stata decisa la misura della libertà vigilata per due anni. Secondo gli investigatori stavano progettando un omicidio. L'operazione dei carabinieri, nata da una indagine del nucleo investigativo del gruppo di Monreale e dalla compagnia carabinieri di Corleone e chiamata "Grande Passo 4", colpisce il mandamento mafioso di Corleone e delle famiglie di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano e “ha consentito di avere cognizione degli assetti di vertice delle menzionate articolazioni di Cosa Nostra, nonché delle interlocuzioni con gli esponenti apicali delle famiglie limitrofe”. In particolare, a far scattare le indagini è stato l'atto d'accusa di otto imprenditori che hanno ammesso di aver pagato il pizzo alla mafia. I carabinieri sono riusciti a documentare numerosi reati che provano la capacità di intimidazione e controllo del territorio da parte delle cosche. Emblematica la vicenda che ha interessato, nel 2014, un imprenditore palermitano aggiudicatario dell'appalto dei lavori di manutenzione di abbeveratoi rurali nel comune di Palazzo Adriano, il quale ha denunciato l'incendio di due mezzi da lavoro.

Gli arrestati – Tra le persone finite in manette c’è anche Carmelo Gariffo, nipote di Bernardo Provenzano, il boss morto lo scorso luglio. Gariffo progettava di riorganizzare il clan, di rilanciarne gli affari e la capacità di gestione della rete di interessi e rapporti. Da tre anni fuori dal carcere, parlava di pizzo e appalti e della necessità di rilanciare Cosa nostra a Corleone. “Basta uno, non c'è bisogno di cento”, diceva, intercettato dai carabinieri, a proposito della necessità di individuare “una persona adatta eventualmente a comandare”. Ma raccomandava di non fare “cose affrettate”. Tra gli altri finiti in manette ci sono due forestali, suoi stretti collaboratori. Inoltre, tra i destinati dell'ordinanza di custodia cautelare, ci sono anche i boss già arrestati Pietro Marasacchia, Vincenzo Pillitteri e Antonino di Marco, quest'ultimo dipendente del Comune di Corleone, sciolto ad agosto scorso.

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