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Le 8 cose che (forse) non sai su Eduardo

Il 31 ottobre 1984 scomparve a Roma il grande drammaturgo e attore Eduardo De Filippo. A trent’anni dalla morte vi sveliamo alcune curiosità sulla sua straordinaria vita.
A cura di Andrea Esposito
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In occasione dell’anniversario per i trent’anni dalla morte di Eduardo, vi sveliamo le 8 cose che (forse) non sapete di lui.

1) Nel 1912, quando aveva appena 12 anni, fu mandato a studiare, insieme col fratello Peppino, nel collegio Chierchia a via Foria. Lì, dopo vari tentativi di fuga, Eduardo rassegnatosi, compose quella che agli atti è la sua prima poesia: si trattava di versi scherzosi dedicati alla moglie del direttore del collegio!

2) Più volte nel corso della sua carriera, almeno fino agli anni ’30, Eduardo fece ricorso a diversi pseudonimi, tra i più conosciuti: Tricot, Molise, C. Consul, R. Maffei, G. Renzi, H. Retti.

3) Di fronte a qualsiasi imprevisto si verificasse in teatro, Eduardo stigmatizzava l'accaduto con la seguente formula: “Non è detto che sia una disgrazia!”.

4) La passione di Eduardo per la cucina è nota a tutti: dalla preparazione del Ragù alla Genovese. Esiste addirittura un libro di sue ricette pubblicato dall’ultima moglie, Isabella Quarantotti, intitolato “Si cucine cumme vogli'i'… La cucina povera di Eduardo”. Tuttavia solo in pochi sanno che uno dei piatti che più amava cucinare era la “frittata di scammaro”, una ricetta oggi dimenticata. In pratica si tratta di una frittata di vermicelli, senza uova, a cui vanno aggiunte olive, capperi, uvetta, pinoli, alici salate, aglio, pepe e prezzemolo. Un piatto povero che i monaci mangiavano in tempo di quaresima, quando non avevano il permesso di consumare carne.

5) Una sera qualunque dell’inverno del 1972, alcuni giovani collaboratori riuscirono a convincere Eduardo ad andare con loro in una piccola sala situata in via Martucci, il Tin, per vedere lo spettacolo di un gruppo di artisti emergenti. Eduardo, sentendosi incastrato, pensò bene di trascinarsi dietro anche Nino Rota. Appena finito lo spettacolo, tutto il gruppo andò a cena in una trattoria poco distante. Lì Eduardo, che insieme con Rota era rimasto folgorato dallo spettacolo, chiese di poter fare una telefonata. Ebbene, chiamò Romolo Valli, allora direttore del Festival di Spoleto, raccomandandogli di prendere a tutti i costi questa giovane compagnia appena vista. Sapete qual era? La Nuova Compagnia di Canto Popolare, che proprio quell’anno andò a Spoleto ed ebbe la sua consacrazione internazionale.

6) Eduardo era un po’ diffidente verso la televisione. Quando si convinse a registrare il secondo ciclo di commedie, negli anni '70, dato che all’epoca la tecnologia non consentiva di fare buone riprese in teatro, Eduardo pretese che nel Teatro 5 di Cinecittà fosse ricostruito non solo il palcoscenico, con tanto di sipario, americane, graticcio… ma anche la platea con tanto di sagome di compensato che fungessero da spettatori. E inoltre volle solo 3 telecamere nei tre punti di vista canonici di una sala teatrale, vale a dire, due laterali e una centrale.

7) Forse non tutti sanno che Eduardo possedeva un’isola, Isca, situata a largo della Costiera Sorrentina e facente parte dell’arcipelago de Li Galli. L’isola è, in realtà, un piccolo fazzoletto di terra, uno scoglio, su cui c’è soltanto una casa e un orto. Eduardo amava raggiungerla sul suo gozzo, anch’esso sorrentino: il San Luca. Lì amava coltivare i pomodori e inoltre andava molto fiero delle numerose piante di capperi che raccoglieva e conservava sotto sale.

8) Nel 1948 Eduardo comprò il Teatro San Ferdinando, un edificio settecentesco di grande valore storico, quasi completamente distrutto dai bombardamenti. Lo fece ricostruire sulla base di numerosi progetti commissionati ad architetti e ingegneri e lo inaugurò nel 1954. Quello che pochi sanno però è che tutta la zona della sala, il palcoscenico, la platea, l'attrezzeria, Eduardo non volle farla né progettare, né realizzare a nessun altro se non al suo fidatissimo macchinista: Don Peppino Mercurio il quale, nel corso di circa cinque anni, lavorò incessantemente alla realizzazione di quel progetto, con una tecnica che lui amava definire: “tavola, tavola, chiodo, chiodo”. Alla sua morte Eduardo fece realizzare una grossa lapide marmorea, ancora oggi affissa dietro il palcoscenico, che ricorda proprio questa incredibile e oggi totalmente anacronistica impresa artigianale.

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