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L’eterna gioventù dei “Viaggi di Gulliver”, 290 anni fa il capolavoro di Jonathan Swift

In una brumosa giornata di fine ottobre a Londra, nel 1726, Jonathan Swift pubblicava sotto pseudonimo la prima edizione del suo capolavoro. Dopo quasi trecento anni i “Viaggi di Gulliver” non ha smesso di affascinare bambini e adulti di tutte le generazioni.
A cura di Redazione Cultura
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"Jonathan Swift" di Charles Jervas
"Jonathan Swift" di Charles Jervas

Era una brumosa giornata londinese, il 26 ottobre del 1726. Quel giorno arrivava sugli scaffali delle librerie, per la prima volta, il romanzo titolo: "Travels into Several Remote Nations of the World, in Four Parts. By Lemuel Gulliver, First a Surgeon, and then a Captain of Several Ships", noto semplicemente come "Gulliver's Travels".

L'editore londinese Benjamin Motte, che aveva ricevuto la prima parte del manoscritto da un certo "Richard Sympson" nell'agosto del 1726, decise di pubblicare la prima edizione dell'opera in due volumi, e così quel fatidico giorno di fine ottobre arrivò. Precedentemente il testo era stato però sottoposto da Motte a diverse revisioni, nel timore che i lettori e le autorità inglesi potessero ritenerlo troppo audace.

Scrivendo sotto lo pseudonimo de Dr. Lemuel Gulliver, Jonathan Swift aveva deciso di mettere su carta il resoconto di alcuni viaggi presso strani popoli, imitando (e parodiando) lo stile del resoconto di viaggi avventurosi che era comune in quel periodo in uno dei più celebri viaggi immaginari della letteratura.

Il libro, infatti, fu pubblicato pochi anni dopo lo straordinario successo del "Robinson Crusoe" di Daniel Defoe (1719) e ottenne enorme popolarità, soprattutto come un libro destinato ai bambini.

In realtà, come i posteri hanno poi dimostrato, il romanzo di Swift è una feroce critica alla società e al comportamento umano del tempo: ognuno dei viaggi diventa il pretesto per irridere, di volta in volta, il sistema giudiziario, i meccanismi del potere, la politica, la pretesa razionalità, i vizi e i comportamenti dei suoi contemporanei.

L'opera si inserisce, in chiave parodistica, anche nel genere letterario "utopistico", iniziato proprio in Inghilterra nel Rinascimento con Tommaso Moro che nel suo capolavoro, il romanzo "L'Utopia", descriveva una società perfetta realizzata dagli uomini nell'immaginaria isola di Utopia.

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