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Italiani rapiti in Libia, chiesto il riscatto

I quattro tecnici italiani sarebbero in mano di malviventi che chiedono denaro in cambio del loro rilascio.
A cura di Davide Falcioni
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Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, i quattro tecnici della Bonatti sequestrati il 20 luglio nella zona di Mellitah, in Libia, sono vivi e nelle mani di malviventi che chiedono denaro in cambio del loro rilascio: non ci sarebbero dunque rivendicazioni politiche, né scambi di uomini con scafisti arrestati in Italia. I mediatori dei servizi segreti italiani avrebbero dunque ricevuto una richiesta di pagamento di un riscatto: non p tuttavia noto a quanto ammonti il prezzo da pagare per la liberazione dei quattro uomini.

Marco Minniti, sottosegretario del governo con delega ai servizi segreti, ha escluso l'ipotesi che i rapitori siano legati in qualche modo ai trafficanti arrestati nelle settimane e nei mesi scorsi in Italia e che il rapimento possa essere utilizzato come "merce di scambio" per ottenere dal nostro paese il rilascio dei detenuti. Si tratta, ha detto Minniti, di una "via impercorribile". Il sottosegretario, durante un'audizione al Copasir, ha reso noto che siamo di fronte a un sequestro a scopo estorsivo e dunque, malgrado le difficoltà della situazione, la vicenda è più facilmente gestibile.

Naturalmente la vicenda non è priva di criticità e pericoli: il primo è la presenza in Libia di due governi distinti, che significa dover lavorare su un doppio canale e trovare fonti attendibili che possano portare in tempi rapidi a una soluzione del caso. Se i tempi si prolungheranno, infatti, il rischio è che i quattro italiani possano essere venduti ad altre organizzazioni criminali, magari legate all'estremismo islamico oppure sì, stavolta all'ambiente dei trafficanti di esseri umani. Secondo il primo ministro di Tripoli Khalifa al Ghweil la probabilità che il rapimento abbia un collegamento con gli scafisti è molto bassa. Il politico è convinto che gli autori possano essere "criminali che vogliono turbare le relazioni che vogliamo instaurare con l'Italia". Il caos politico complica tuttavia le trattative: il premier di Tripoli infatti non è quello riconosciuto a livello internazionale. Cosa che invece è il governo di Tobruk.

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