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Il ricorso di una donna albanese blocca il concorso per cancellieri: si erano presentati in 308mila

La donna ha presentato il ricorso contro il requisito della cittadinanza italiane e un giudice le ha dato ragione. Per soli 800 posti disponibili si erano presentati in 308.668. Ora è tutto da rifare, ma avranno diritto di accedervi anche i cittadini stranieri.
A cura di D. F.
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Come è finito l'attesissimo concorso per 800 posti da assistente giudiziario che il ministero della Giustizia aveva bandito dopo vent’anni di attesa? Si sono presentati in 308.668, una vera e propria marea umana che fino alla scorsa settimana aveva letteralmente invaso i padiglioni della Fiera di Roma, il luogo deputato allo svolgimento delle prove. Ebbene, quando ormai in molti fremevano inattesa di conoscere il risultato del concorso il ministero ha sospeso tutto. Il motivo? Semplice: tutti i cittadini non italiani ne erano stati esclusi a priori, circostanza giudicata illegittima.

Ma andiamo con ordine: a presentare il ricorso è stata Mehillaj Orkida, una donna albanese poco più che trentenne che, sostenuta dalla onlus L’Altro Diritto, il cui comitato scientifico è composto da una lunga sfilza di giuristi di varie università, ha formalmente protestato contro il requisito della cittadinanza italiana. Stefania Carlucci, giudice del lavoro di Firenze, ha analizzato la legittimità del ricorso e il 27 maggio scorso dato ragione alla donna, intimando al ministero di Giustizia di riammettere al concorso (sia pure con riserva) Orkida, ma anche i candidati comunitari e quelli non comunitari in regola con i permessi. Il giudice ha anche ordinato la sospensione del concorso "sino alla conclusione del giudizio di merito in modo da permettere ai cittadini comunitari e agli stranieri rientranti in una delle categorie previste dall’articolo 38 del decreto legislativo 165/2001 di essere rimessi in termini per la presentazione della domanda e partecipare con riserva al concorso".

Dal canto suo il ministero della Giustizia ha ribattuto in aula sostenendo che un decreto del governo del 1994 stabilisce che per posti come quelli nel settore giudiziario è necessaria la cittadinanza italiana. Tanto più perché la legge stabilisce il principio della "tutela dell’interesse nazionale". Tesi che – come spiega il Corriere – è stata smontata dal giudice, argomentando che il vincolo della cittadinanza italiana stabilito 23 anni fa e applicato ai cancellieri dei tribunali non pare compatibile con la giurisprudenza comunitaria e con la nozione restrittiva che presuppone l’esercizio di pubblici poteri. Insomma, per oltre 300mila persone tutto da rifare.

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