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II soldato che sfida il boia Isis prima di morire: “Perché non ti batti da uomo a uomo?”

Suleiman al Huti, un soldato libico catturato e ucciso dai jihadisti dello Stato Islamico nel 2015, è diventato un eroe nazionale dopo la sua morte. Gli estremisti dell’Isis hanno filmato la sua esecuzione: nel video però, Al Huti, invece di supplicare i suoi carnefici, li sfida a combattere con onore. Il gesto di questo soldato ha suscitato l’ammirazione di molti libici che hanno visto in lui l’esempio da seguire nella lotta contro i fondamentalisti islamici. Ma la Libia resta una polveriera. La nascita della Guardia Nazionale Libica rischia di allontanare ancora di più la riconciliazione nazionale.
A cura di Mirko Bellis
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Fotogramma del video in cui Suleiman al Huti sfida il suo carnefice a combattere da uomo a uomo
Fotogramma del video in cui Suleiman al Huti sfida il suo carnefice a combattere da uomo a uomo

La storia di questo soldato diventato un eroe nazionale dopo la sua morte risale al 2015 quando a Bengasi, durante una battaglia tra l’esercito libico e i miliziani dell’Isis, Suleiman al Huti, fu catturato dai jihadisti. Il destino di questo soldato sembrava essere uguale a quello delle tante vittime della lotta contro il terrorismo. Ma le immagini diffuse in queste ore che documentano il momento della sua esecuzione lo hanno convertito in un eroe per molti suoi connazionali. I carnefici dello Stato islamico, come già altre volte in passato, hanno filmato la condanna morte del loro prigioniero; nel video Suleiman al Huti, rannicchiato e indifeso, invece di implorare il suo boia, chiede di combattere con onore. Una richiesta alla quale i suoi rapitori rispondono prima con gli insulti e poi uccidendolo senza pietà.

Le immagini della morte di al Huti, diffuse sui social media libici e sui giornali locali, sono presto diventate virali. Secondo Al Arabiya, su Twitter l’hashtag #With_honor (Con onore), la frase pronunciata dal soldato prima del suo martirio, è diventato uno dei più digitati nel Paese nordafricano. Per molti libici, il coraggio con il quale Suleiman al Huti ha sfidato gli estremisti islamici prima di essere ucciso rappresenta un motivo di orgoglio e di rivincita nei confronti dei terroristi. Nei messaggi che sono circolati sui social sono in tanti a chiedere di seguirne l’esempio, di non chinare la testa e di lottare contro il fanatismo dell’Isis. Mohammed Rouissi, un altro militare libico ha scritto: “Lo dico forte e chiaro, continueremo la nostra guerra contro il terrorismo. Non ci arrenderemo, siamo fiduciosi della capacità delle nostre forze armate”. Nel Paese nordafricano, diviso tra le molte milizie che si contendono il potere, sono in molti a sperare che l’esempio di Suleiman al Huti possa innescare la spinta necessaria per sconfiggere definitivamente gli estremisti dello Stato islamico. “Il coraggio di Suleiman sarà un barlume di speranza per l'esercito nella sua guerra contro i gruppi terroristici”, si legge in un altro tweet. E la storia di Suleiman ha colpito anche l’ambasciatore inglese in Libia, Peter Millett. Il diplomatico britannico si è unito al coro delle voci in ricordo del soldato e ne ha elogiato pubblicamente il coraggio di fronte ai jihadisti.

La Libia continua ad essere una polveriera

Ma in Libia una vera coesione nazionale è sempre più lontana. La nascita della Guardia Nazionale Libica (Lng), un nuovo corpo militare a cui fa capo Khalifa Ghwell, uno degli uomini forti dell"era post-Gheddafi, rende ancora più difficile il cammino della riconciliazione. La Lng, formata da diversi gruppi armati provenienti soprattutto da Misurata, si presenta come un’unità indipendente che non riconosce né il Governo di Unità Nazionale del presidente Al-Serraj né quello di Haftar, il potente generale comandante dell’esercito schierato nell'est del Paese.

In questo ingarbugliato contesto, a complicare le cose c’è anche la difficile transizione nella nomina del nuovo inviato dell'Onu in Libia. Dopo il siluramento del tedesco Martin Kobler da parte del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, l’incarico doveva andare all'ex primo ministro palestinese Salam Fayyad. Ma l’opposizione degli Stati Uniti alla nomina di Fayyad di fatto rallenta gli sforzi della comunità internazionale per cercare di mettere fine al caos che da anni regna nel Paese nordafricano. Nello scacchiere internazionale che si sta giocando in Libia, il sacrificio eroico del soldato semplice Suleiman al Huti rischia di essere solo un ricordo.

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