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Gli inquilini negano l’ascensore al malato di tumore. Il ragazzo è morto

Il govane ingegnere sconfitto giovedì dal cancro a Torino. Era stato costretto ad andare a vivere altrove perché i precedenti condomini gli avevano negato l’impianto (che avrebbe comunque pagato a proprie spese).
A cura di B. C.
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In questi giorni La Stampa si occupata della vicenda di un condominio di Torino, un palazzo nel quale è stato vietato a Stefano Martoccia, un inquilino disabile di installare un ascensore (a proprie spese). Secondo l’assemblea dei condomini (e anche l’amministratore) in realtà l’obiettivo di Martoccia sarebbe stato quello di far lievitare il valore della propria abitazione per poi rivenderla a un prezzo più alto. Ebbene giovedì Martoccia è morto. “Stefano, amputato a causa di un tumore terribile – racconta Wiliam Marsero, amico del giovane ingegnere – è mancato, ospite di amici, senza neppure più vedere la sua desiderata casa, proprio perché inaccessibile. Ora penso a quei condomini così devoti ed assidui frequentatori della parrocchia: come pensano di ottenere un perdono dal Signore, vista la loro evidente carenza di carità? Da parte nostra, amici, che ci siamo adoperati per lui e per tutte le persone in difficoltà come lui credo che malgrado tutta la volontà troveremo difficile capire ed accettare una realtà così ingiusta”.

Della sua storia aveva scritto Massimo Gramellini:

A ottobre ricevetti una mail da Stefano Martoccia, ingegnere torinese di trentatré anni colpito da un tumore alle ossa che gli era costato l’amputazione della gamba destra. Stefano abitava all’ultimo piano di una casa senza ascensore e aveva informato i coinquilini dell’intenzione di installarne uno a sue spese. L’assemblea di condominio – luogo tra i più ottusi ed efferati dell’umanità, al cui confronto il Parlamento è un covo di idealisti – aveva negato l’assenso. La legge consentiva a Stefano di procedere. Ma il dominus dell’assemblea, titolare della maggioranza dei millesimi, aveva opposto ostacoli ed eccezioni, arrivando a insinuare che il giovane volesse costruire l’ascensore con gli incentivi concessi ai disabili per aumentare il valore del suo appartamento e poi rivenderlo. Aveva preteso che Stefano sottoscrivesse un documento in cui si impegnava a rimuovere l’impianto, in caso di cessione della casa, e a utilizzarlo in esclusiva, negando le chiavi dell’ascensore a parenti e infermieri. Stefano si era rifiutato di firmare e mi aveva manifestato il suo dolore stupefatto per le soglie di cattiveria a cui può giungere un essere umano. I suoi condomini, scriveva, erano frequentatori assidui della parrocchia. Devoti al prossimo, purché non abitasse a casa loro.

Girai la mail alla collega Maria Teresa Martinengo, che scrisse un articolo sul giornale nella speranza che qualcuno si vergognasse. Ma nessuno si vergognò. Per non perdere energie che gli servivano altrove, Stefano accantonò il progetto dell’ascensore e si trasferì nell’appartamento del cugino al pianterreno, dove una morte più misericordiosa degli uomini è venuto a prenderlo ieri mattina.

Il funerale di Stefano è stato celebrato ieri mattina nella chiesa di via Santa Teresa 22. Al dolore composto e riservato dei genitori ha dato voce padre Antonio Menegon, che nell’omelia non ha risparmiato critiche a chi si è opposto alle richieste del ragazzo disabile. Al termine della cerimonia, Stefano è stato accompagnato in cima alla basilica di Superga per un ultimo saluto alla sua squadra: il Torino. La salma è stata poi cremata al cimitero monumentale.

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