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Giulio Regeni, fonti a Reuters: “Fu arrestato dalla polizia il giorno della scomparsa”

Questa versione sarebbe stata confermata da almeno sei persone che fanno parte dellʼintelligence e della polizia egiziana. Ma le forze di sicurezza continuano a smentire.
A cura di Susanna Picone
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Tre funzionari dei servizi segreti egiziani e tre fonti di polizia, separatamente gli uni dagli altri, hanno detto all’agenzia Reuters che la polizia aveva preso in custodia il ricercatore italiano Giulio Regeni prima che morisse. Secondo queste fonti, Regeni sarebbe stato fermato dalla polizia e poi trasferito in un compound gestito dai servizi di sicurezza il giorno stessa della sua scomparsa, il 25 gennaio. Quel giorno, anniversario dell'inizio della primavera araba del 2011, la sicurezza era molto alta. In particolare una delle fonti ha riferito che Regeni sarebbe stato portato a Izbakiya per 30 minuti prima di essere trasferito a Lazoughli, un compound gestito dalla sicurezza interna. Il corpo del ragazzo, torturato, è stato poi ritrovato il 3 febbraio lungo una strada alla periferia del Cairo.

Le autorità egiziane negano qualsiasi coinvolgimento

La versione fornita dalle fonti a Reuters di fatto smentisce quella ufficiale delle autorità egiziane. I funzionari egiziani hanno infatti sempre fortemente negato qualsiasi coinvolgimento nella morte del ricercatore italiano. E anche adesso continuano a negare. Mohamed Ibrahim, funzionario del dipartimento di sicurezza interna, ha infatti detto che “non ci sono legami di sorta tra Regeni e la polizia o il ministero dell'Interno o la sicurezza interna. Non è mai stato detenuto in alcuna stazione di polizia o qui. L'unica volta che è entrato in contatto con la polizia è per il timbro del passaporto quando è entrato in Egitto”. “Se avessimo avuto qualsiasi sospetto sulle sue attività la soluzione sarebbe stata semplice: espellerlo”, ha aggiunto. Alla domanda se Regeni fosse stato portato nella stazione di polizia di Izbakiya al Cairo, come detto da alcune fonti, un funzionario del ministero degli Interni ha risposto che non verranno rilasciate dichiarazioni in merito.

Familiare rapinatori uccisi: “Sono stati incastrati”

Intanto ha parlato del caso Regeni anche Rasha Tarek, la figlia del capo della banda di rapinatori di stranieri uccisi al Cairo e in possesso dei documenti del giovane italiano. La donna alla Cnn ha ribadito la sua accusa mossa alla polizia egiziana di averle ucciso a freddo padre, marito e fratello per far credere che fossero loro i torturatori di Giulio Regeni. Rasha Tarek ha ribadito che il “portafogli marrone” rinvenuto assieme ai documenti apparteneva al marito Salah Ali ed era in possesso dell'uomo quando questi uscì di casa quella mattina. “Fui sorpresa che si trovasse con le altre cose. Ciò mi dimostra che il poliziotto è colui che ha portato (gli effetti di Regeni) con lui”, ha detto la donna che ha attribuito il portafogli con la parole ‘Love’ a sua madre, gli occhiali da sole al suo fratello minore, telefono ed auricolari a un altro fratello. Ai due uomini a suo dire apparteneva anche il borsone rosso. La donna ha detto anche di aver potuto udire, quando qualcuno ha aperto il telefonino del marito, sia un colpo che lo ha ucciso sia l'implorazione fatta dal proprio fratello per evitare di fare la stessa fine: “Ho sentito un rumore che non ho capito cosa fosse. Pensai a un problema di rete. Ho aspettato e ho sentito mio fratello Saad dire: ‘Sì basha, perché sei agitato, basha? Dimmi che vuoi, giuro su Dio che farò ciò che vuoi, basha”, così la donna usando l'epiteto (basha) con cui in Egitto ci si rivolge ai superiori o in particolare alla polizia. Rasha ha anche confermato che i corpi delle cinque vittime erano crivellati di colpi nonostante non fossero armati: “Tutti i loro corpi sembravano essere stati usati per il tiro al bersaglio”.

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