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Fmi: la Brexit rischia di pesare sulla crescita mondiale (ed italiana)

Il Fmi lima le previsioni di crescita dell’economia globale a seguito dell’incertezza causata dalla Brexit da qui al 2019. Molto dipenderà da come si svilupperanno i negoziati tra Regno Unito e Unione Europea, in caso di eccessiva rigidità a rischiare di più sono Spagna, Italia e Francia, oltre alla Gran Bretagna…
A cura di Luca Spoldi
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Il Fondo monetario internazionale (Fmi) non si fida: nonostante per ora la Brexit non abbia prodotto lo sfacelo preannunciato, coi mercati azionari che dopo essere arrivati a cedere un 12% hanno recuperato tutto il terreno perduto con gli interessi (nel caso di Wall Street segnando anche nuovi massimi storici), il Fondo nelle sue nuove previsioni taglia le stime sulla crescita economica globale per riflettere “la conseguenza macroeconomica di una notevole crescita delle incertezze, sul piano politico compreso” legato all’esito del referendum britannico dello scorso 23 giugno.

Il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, aveva del resto anticipato in una intervista al Financial Times ai primi di luglio di temere che la Brexit possa costare fino al 4,5% in termini di Pil mondiale da qui al 2019, nel caso in cui il divorzio fosse rancoroso e la Ue non seguisse il modello norvegese, consentendo alla Gran Bretagna di preservare l’accesso altre 27 economie del mercato unico europeo, ma pretendesse di assoggettarlo a tariffe in linea con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Per ora tuttavia le previsioni ufficiali sono più prudenti e si limitano ad una leggera limatura delle previsioni di crescita precedenti: lo 0,1% in meno quest’anno e il prossimo e la crescita globale passa a +3,1% quest’anno e a 3,4% l’anno venturo. Non esattamente un disastro di proporzioni bibliche, ma abbastanza per far traballare la fragile barchetta dell’economia italiana, la cui ripresa si ridurrà secondo il Fmi al +0,9% quest’anno e al +1% l’anno prossimo, meno di un terzo della crescita media globale e sempre troppo distante dal costo medio del debito pubblico che dunque è destinato a lievitare ulteriormente salvo l’entrata in vigore di misure “taglia debito” di qualche tipo.

A ben guardare, come ha già sottolineato Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners, “la Lagarde non teme di dovere salvare un giorno Londra, ma è preoccupata per Francia, Spagna e Italia”, perché l’incertezza rischia di pesare di più sui paesi periferici (come Spagna e Italia) o più rigidi (come la Francia) che non su paesi come la Gran Bretagna, finora in piena espansione e storicamente molto flessibili ed in grado di adattarsi rapidamente a mutamenti di scenario economico e politico.

Del resto anche avendo applicato alla Gran Bretagna il taglio più consistente delle stime, il Fondo prevede che il Regno Unito veda il Pil crescere dell’1,7% quest’anno (-0,2% rispetto alle stime dello scorso aprile) e dell’1% nel 2017 (scontando un -0,9% rispetto alle previsioni precedenti). Quasi nulle sono poi le conseguenze per gli Usa, dove la Federal Reserve ha già mandato in soffitta, almeno fino a fine anno, il programma di graduale rialzo dei tassi e dove la crescita sarà “solo” del 2,2% quest’anno (-0,2%) ma dovrebbe ugualmente risultare pari al 2,5% l’anno venturo (previsione invariata).

Insomma, la Brexit potrà avere effetti anche consistenti e negativi, ma per lo più di breve termine, a patto che Gran Bretagna da una parte ed Unione Europea dall’altra non finiscano con assumere posizioni negoziali inutilmente rigide che rischierebbero di fare male più ai paesi membri della Ue, Italia compresa, che non alla stessa Gran Bretagna. D’altra parte la Ue stessa pare avere ancora tempo per riformarsi e con buona pace di alcuni finanzieri (come George Soros) e politici che sperano di speculare al riguardo, non è iniziato nessun processo disgregativo irreversibile, per la semplice ragione che nella storia i processi irreversibili non esistono, né in senso aggregante né disgregante. Come non esistono esiti inevitabili, ma solo stime con più o meno alte probabilità di verificarsi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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