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Donna uccisa dalla fatica, il marito: “Abbiamo rotto l’omertà, ora i miei figli non trovano lavoro”

Stefano Arcuri, marito della 49enne tarantina stroncata da malore nel luglio del 2015 mentre era al lavoro, parla dell’inchiesta sul caporalato, che ha fatto seguito al dramma della donna: “Vogliamo che nessuno faccia più una fine come quella di mia moglie, ma dopo che ho parlato i miei figli hanno difficoltà a trovare lavoro”.
A cura di Biagio Chiariello
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"Tutto quello che abbiamo fatto è stato soltanto per la memoria di Paola e perché nessuna possa più lavorare nelle sue stesse condizioni. Siamo gente semplice, la nostra è una battaglia di dignità. Oggi è una giornata importante". Lo dice – in un'intervista a Repubblica – Stefano Arcuri, marito di Paola Clemente,  la 49enne tarantina stroncata da un infarto mentre lavorava all'acinellatura dell'uva sotto un telone nelle campagne di Andria. Sei persone, tra cui l'ex datore di lavoro di Paola Clemente e il titolare dell'azienda dei bus su cui la donna viaggiava ogni giorno, sono stati arrestati al termine di un'indagine di Polizia e Guardia di Finanza sul caporalato: le ipotesi di reato sono truffa ai danni dello Stato, illecita intermediazione, sfruttamento del lavoro.

Va comunque sottolineato che l’inchiesta non riguarda nello specifico la morte della donna, sulla quale è in corso una consulenza di un docente di Medicina del lavoro che dovrà accertare se vi sia stato un collegamento tra il decesso e la fatica a cui era sottoposta, ma lo sfruttamento della stessa Paola e di oltre 600 braccianti: secondo l'accusa, si tratterebbe nella stragrande maggioranza dei casi di donne in grave stato di indigenza economica. Diverse sono consorti di ex lavoratori dell'Ilva di Taranto. E’ stato grazie alle loro testimonianze che l’amara vicenda è venuta alla luce. Una donna racconta agli inquirenti che un giorno, sul pullman, nel momento in cui venivano distribuite le buste paga, "alcune donne si sono lamentate dei giorni mancanti e G. ha detto che noi lo sapevamo, quindi, non dovevamo lamentarci. Nessuna ha più parlato, anche perché si ha paura di perdere il lavoro, anche io adesso ho paura di perdere il lavoro e di essere chiamata infame. Ho un mutuo da pagare, mio marito lavora da poco, mentre prima stava in Cassa integrazione. Dovete capire che il lavoro qui non c'è e, perderlo, è una tragedia. Quindi, se molte di noi hanno paura di parlare è comprensibile".

Stefano Arcuri oggi ammette che i figli “hanno difficoltà a trovare lavoro e temo che sia anche per quello che abbiamo fatto, per il coraggio della nostra denuncia. Ma non mi pare che abbiamo fatto niente di speciale. Ma soltanto quello che era giusto per Paola”. Poi in merito all’inchiesta, dice: “Quello che è accaduto oggi mi sembra la migliore risposta: se si ha fiducia nelle istituzioni, se ci si affida alla giustizia, prima a poi la giustizia quella vera, arriva. Certo c'è ancora altro da fare".

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