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Come andare in pensione senza lavorare neanche un giorno: la storia del minatore Carlo

Carlo è un minatore sardo ma tra malattie, permessi, cassa integrazione e mobilità è andato in pensione con appena una manciata di giornate lavorate.
A cura di D. F.
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Chilometri e chilometri di gallerie sotterranee, polvere, le esplosioni della dinamite e i pericolo di uno dei mestieri più antichi. fare il minatore nel Sulcis, nell'area Occidentale della Sardegna, può essere molto faticoso. Da queste parti è nato il "movimento operaio italiano", da queste parti sono state compiute stragi di operai e una di queste – a Buggerru – diede il là al primo sciopero generale nel nostro paese. Ma mentre la maggior parte dei minatori hanno i volti distrutti dalla fatica ce n'è uno – Carlo Cani – che a vederlo sembra fresco come un fiore. La sua storia è stata raccontata dal quotidiano la Nuova Sardegna ed è quella di un uomo di 60 anni andato in pensione nell'ormai lontano 2006 dopo 35 anni di anzianità. "Ma praticamente non ho mai lavorato", ammette lui serenamente. "Là sotto stavo troppo male. Sin dall'inizio io e il carbone non abbiamo legato, allora andavo dai medici, chiedevo cure, capivano, mi accontentavano. Fino alla cassa integrazione. Era il 1993, una liberazione. Poi la mobilità e addio".

Carlo Cani ha "lavorato" 26 anni alla Carbosulcis: le virgolette sono d'obbligo perché tra malattie, cassa integrazione e mobilità alla fine la pensione è arrivata senza quasi mai sporcarsi le mani, grazie anche allo scivolo lungo, ovvero quello che matura chi ha svolto un "lavoro usurante". Carlo è un appassionato di jazz: "Meglio il suono del sax che quello del motopicco, la musica ha sempre alimentato la mia creatività, anche quando mi presentavo all'Inail per i controlli sanitari", racconta. Dopo le prime esperienze "sul campo", con tuta, casco e pala in mano, l'uomo capisce che tutta quella fatica non fa al caso suo e inizia a diventare ospite fisso degli ambulatori medici: "Mi inventavo di tutto, amnesie, dolori, emorroidi, camminavo sbandando come fossi ubriaco. O forse, a pensarci bene, qualche volta lo ero davvero. Mi capitava di urtare la parete con un pollice, impossibile lavorare con un pollice gonfio. Altre volte mi finiva la polvere in un occhio, avevo sempre un occhio pieno di polvere (ride). E il collo, mesi passati con il collare per tenere a bada una maledettissima cervicale. Ma la verità è che non ce la facevo, la miniera non era roba per me".

Poi è stata la volta della cassa integrazione e della mobilità: mentre i suoi colleghi lottavano contro un futuro sempre più incerto però Carlo Cani se la spassava ascoltando musica jazz in casa. Altro che dramma sociale, altro che depressione: "Per me è stata la fine di un incubo, due anni e mezzo così e l'avvio delle pratiche per la pensione. Quello del minatore è considerato lavoro usurante, mi hanno dato lo scivolo e il conto finale ha fatto trentacinque, sono trentacinque anni di anzianità. Pensionato a cinquantadue anni".

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