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Caso Shalabayeva: indagati in 8 per sequestro, anche il Capo Sco e il questore di Rimini

I due dirigenti di polizia, all’epoca in servizio a Roma, la giudice di Pace e altri 5 poliziotti indagati per sequestro di persona.
A cura di Antonio Palma
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Il questore di Rimini Maurizio Improta, il capo dello Sco, il Servizio centrale operativo della polizia, Renato Cortese, il giudice di pace Stefania Lavore e altri cinque poliziotti sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Perugia per il caso di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov espulsa dall'Italia nel 2013 in circostanze mai chiarite del tutto. Le indagini sul caso vanno avanti da tempo ma solo ora la notizia degli indagati è ufficiale perché agli stessi è stata notificata formalmente un'informazione di garanzia. I pm di Perugia, che si stanno occupando del caso poiché è coinvolto anche un giudice del distretto di Roma, ipotizzano per gli otto indagati il reato di sequestro di persona. All'epoca dei fatti Cortese era capo della Mobile di Roma, mentre Improta era a capo dell'ufficio stranieri della Capitale. In quelle vesti insieme ad altri poliziotti si presentarono il 31 maggio del 2013 nella villa della Shalabayeva a Casal Palocco, esibendo un mandato di cattura dello Stato kazako.

La donna, dopo un breve riconoscimento formale nel Centro di identificazione ed espulsione, fu immediatamente espulsa dall'Italia insieme alla figlia di sei anni e messa un volo per Astana . In realtà come ha accertato una sentenza della Corte di Cassazione lo scorso anno, la polizia non aveva nessun diritto di espellere madre e figlia dal territorio italiano perché contro di loro non c'era nessuna accusa, quindi il provvedimento di rimpatrio era viziato da "manifesta illegittimità originaria". Per questo i magistrati perugini ora accusano i poliziotti e il giudice di pace, in concorso con alcuni funzionari dell'ambasciata del Kazakistan di Roma che avevano fatto pressioni, di aver sequestrato la Shalabayeva e sua figlia con l'intento di rimandarle in patria.

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