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Camusso: “Abbassiamo l’età pensionabile per creare posti di lavoro”

Il segretario generale della Cgil in una intervista al Corsera: “Andare in pensione a 67 anni non va bene e per certi lavori, come l’edilizia o i trasporti, è impossibile. Serve un meccanismo di flessibilità che però non penalizzi i trattamenti”.
A cura di Redazione
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Torna a parlare Susanna Camusso, con una lunga intervista concessa al Corriere della Sera in cui si sofferma sulle prossime mosse del Governo e analizza quella che ormai comunemente viene definita la “sfida della rappresentanza”. E proprio dopo le polemiche sul tesseramento della Cgil hanno ripreso consistenza le voci che vogliono l’esecutivo impegnato nell’imminente riforma della contrattazione, che andrebbe nella direzione del rafforzamento di quella aziendale e di una diminuzione di quella collettiva. Sul punto, Camusso è chiara: “Mi sembra un’idea un po’ ardita che il governo intervenga a piè pari su un tema che è terreno delle parti sociali […] Il contratto nazionale di lavoro è strumento di regolazione positiva della concorrenza. L’assenza di regole e di controlli e l’ossessione per la riduzione dei salari e dei diritti favorisce il lavoro nero, il caporalato e forme di schiavismo. Il lavoro va pagato”.

Poi il segretario della Cgil si sofferma sulle modifiche al sistema pensionistico, con la proposta di abbassare l’età pensionabile: “Andare in pensione a 67 anni non va bene e per certi lavori, come l’edilizia o i trasporti, è impossibile. Serve un meccanismo di flessibilità che però non penalizzi i trattamenti. Abbiamo già scambiato la flessibilità in Europa con le pensioni e i diritti dei lavoratori, a partire dall’articolo 18. Andiamo avanti?”

La linea del Governo, del resto, non convince il segretario della Cgil nemmeno in tema di tassazione della prima casa (“dobbiamo per forza togliere la tassa sulla casa?) o di carico fiscale (“non possiamo ridefinire una progressività fiscale e fare una vera lotta all’evasione incentivando, ad esempio, la moneta elettronica?”). E sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego (anche alla luce della sentenza della Consulta), avverte: “Le cifre che vedo circolare non sono tali da dare risposte ai lavoratori dopo sette anni di blocco. Durante i quali peraltro si sono fatti tagli feroci e non riusciti, come la riforma delle province, senza mai pensare a migliorare la qualità della pubblica amministrazione”.

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