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Bruciò vivo un 16enne palestinese, israeliano condannato all’ergastolo

Un tribunale di Gerusalemme ha condannato all’ergastolo il principale imputato nel processo per l’omicidio di un ragazzo palestinese bruciato vivo nel 2014. Il delitto scatenò nuove violenze.
A cura di Susanna Picone
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Ergastolo al principale imputato nel processo per l’omicidio del ragazzo palestinese di 16 anni, Mohammed Abu Khdeir, rapito, seviziato e arso vivo il 2 luglio 2014. Un tribunale di Gerusalemme ha stabilito la pena per Yosef Haim Ben David, israeliano di 31 anni accusato numero uno al processo per il rapimento avvenuto a Gerusalemme Est e l'omicidio dell'adolescente palestinese. L'uomo, assieme ad altri due estremisti israeliani all'epoca minorenni, rapì il sedicenne nei pressi della sua abitazione, lo portò nel bosco vicino alla città, lo picchiò e alla fine lo arse vivo. Il delitto arrivò come ritorsione qualche settimana dopo il ritrovamento dei corpi di tre giovani israeliani rapiti in Cisgiordania. Quei due crimini segnarono profondamente l’opinione pubblica, portarono nuove violenze tra israeliani e palestinesi e contribuirono allo scoppio della guerra a Gaza quell’estate. La condanna di Yosef Ben-David – giudicato sano di mente nonostante la richiesta dei suoi avvocati difensori – prevede anche altri venti anni di carcere e un risarcimento in denaro alla famiglia della vittima. Difficilmente l’uomo potrà beneficiare di una grazia.

Dopo la sentenza l’uomo ha chiesto perdono ai genitori della vittima – Appresa la sentenza, l’uomo si è rivolto ai genitori del giovane da lui bruciato vivo e ha chiesto loro perdono: “Ho sempre avuto rispetto per gli esseri umani – ha detto il condannato – ho raccolto i resti sia di ebrei sia di musulmani quando lavoravo per Zaka”, l'organizzazione rabbinica che presta primi soccorsi nelle aree che sono teatro di attentati o di gravi incidenti. L’uomo ha detto di soffrire di problemi mentali e che in quel momento non comprendeva le sue azioni. I genitori del giovane ucciso hanno subito replicato dicendo che ai loro occhi resta “un assassino, un razzista” e che pertanto “merita la pena di morte”.

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