Spiegare la guerra ai bambini: come rispondere alle loro domande e curiosità

La guerra è tornata a essere un rumore di fondo della quotidianità. Le immagini che arrivano da Gaza, i titoli dei telegiornali, i racconti che circolano a scuola o nelle conversazioni tra adulti, entrano spesso nelle case anche quando nessuno lo vorrebbe. Così può accadere che, mentre un genitore sfoglia una rivista o segue distrattamente il notiziario, un bambino alzi lo sguardo e si chieda cosa sia la guerra o perché provochi tanta distruzione. Domande semplici e dirette, che però aprono scenari complessi. Ma come rispondere senza spaventare né mentire? Fanpage.it ne ha parlato con Anna Granata, professoressa associata di Pedagogia all'Università di Milano-Bicocca. "Oggi è quasi impossibile che un bambino non intercetti in qualche modo la notizia della guerra", ha osservato la pedagogista. "Basta accendere la radio in auto o ascoltare una conversazione tra adulti perché si accenda la curiosità dei piccoli".
Le parole giuste per affrontare l'argomento
Parlare di guerra con un figlio, sottolinea Granata, richiede di calibrare parole e concetti in base all'età. Un bambino in età prescolare, ad esempio, va protetto dagli elementi più cruenti e disturbanti. "Bisogna evitare che venga esposto a immagini o notizie che non può interpretare. Dire che Gaza è a tremila chilometri non significa nulla per un bambino di quattro anni, perché non riesce a figurarsi il concetto di distanza geografica", ricorda l'esperta. Proteggere, però, non vuol dire negare spiegazioni o evitare le domande. Pensare di silenziare completamente l’argomento, ammonisce Granata, è infatti una strategia sbagliata: "I bambini che incontrano informazioni forti sviluppano domande: la prima responsabilità dei genitori è rispondere, non lasciare che altri lo facciano al posto loro".

Dagli otto in poi, le spiegazioni possono invece farsi più approfondite e pur rimanendo semplici, accessibili e non traumatiche, non devono contenere troppi elementi edulcorati: "I genitori hanno il compito di rassicurare e allo stesso tempo di spiegare, fornendo informazioni che siano alla loro portata. È fondamentale trattarli come cittadini a pieno titolo, capaci di comprendere in base alla loro età".
Bilanciare tra realtà e speranza
Trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere i piccoli e la necessità di non tenerli all'oscuro dalla realtà delle cose è la grande sfida che un genitore deve affrontare quando si trova a parlare di certi temi. Se infatti un genitore dovrebbe evitare di aggiungere dettagli dolorosi o cruenti che potrebbero turbare i piccoli, quando una notizia giunge all'orecchio dei bambini è inutile negarla o evitarla, ma va discussa con grande attenzione. A tal proposito la professoressa Granata ha raccontato un episodio personale:
Ero in macchina con mia figlia di sei anni quando ha sentito alla radio la notizia di una donna incinta uccisa a Gaza. È rimasta turbata e per giorni ha continuato a parlarne. In quel caso ho cercato di far emergere tutto il male e l'ingiustizia della guerra, ma anche di esprimere empatia. È l'unico modo per dare un senso alle emozioni che la notizia ha suscitato.
Per favorire un apprendimento sereno e cominciare a "costruire" un futuro adulto dotato di spirito civico e interesse per il mondo in cui dovrà vivere, il consiglio di Granata è poi quello di trasformare il disorientamento e la tristezza che un piccolo potrebbe provare nello scoprire l'orrore della guerra in un'occasione di azione, anche attraverso piccoli gesti simbolici, come partecipare a una manifestazione: "Con mia figlia abbiamo acceso una luce in segno di vicinanza e lei ha voluto scrivere un cartello con scritto ‘Basta guerra a Gaza' da appendere sulla porta di casa. Sono piccoli gesti che trasmettono un messaggio forte: non restiamo indifferenti".

Questa dimensione attiva, secondo la pedagogista, rappresenta anche una forma di speranza concreta. "Raccontare ai bambini che la pace è possibile, ricordare episodi della nostra storia in cui la guerra è finita, è un atto educativo. Consegnare alle nuove generazioni l’idea dell’inevitabilità del conflitto sarebbe il fallimento della nostra responsabilità adulta".
Spazio delle domande, anche quelle più scomode
Ogni dialogo nasce da una domanda. E per questo è essenziale creare un clima familiare in cui i bambini si sentano liberi di porre anche quelle più difficili. Questa disponibilità può essere coltivata ogni giorno: il momento del pasto condiviso, ad esempio, è l'occasione perfetta in cui i bambini possono raccontare ciò che hanno sentito o visto, esprimendo paure e curiosità. È lì che un genitore può capire cosa li ha colpiti e come costruire insieme non delle risposte definitive, ma parole che trasmettono fiducia. "Un bambino che sente che può chiedere e ricevere attenzione impara a guardare al futuro con uno sguardo aperto, non spaventato. Questo – conclude Granata – è il primo passo per educare alla pace".