Il legame madre-neonato è uno scudo contro la depressione post partum: “Benefici sui figli fino all’adolescenza”

La depressione post-partum non è affatto una tristezza passeggera, ma una condizione che può influenzare profondamente non solo la salute mentale delle madri, ma anche il futuro benessere emotivo e comportamentale dei figli. L'ennesima conferma arriva da un recente studio giapponese che però ha messo in luce come il legame precoce tra madre e neonato – il cosiddetto bonding – possa fungere da scudo parziale contro gli effetti a lungo termine della depressione materna. I risultati rafforzano l’importanza di intervenire presto, non solo sulla salute mentale delle madri, ma anche sul rafforzamento della relazione affettiva con il proprio bambino.
Depressione e legame affettivo: due fattori chiave
La salute mentale della madre nei primi mesi dopo il parto e la qualità del legame che si crea con il neonato sono da tempo considerati elementi cruciali nello sviluppo psicosociale dell’infanzia. Bambini di madri affette da depressione post-partum mostrano spesso difficoltà nella regolazione delle emozioni, comportamenti disorganizzati o problemi cognitivi. Inoltre, la depressione può ostacolare la costruzione di un legame sicuro e affettuoso, aumentando il rischio di un attaccamento insicuro.

Fino ad oggi, però, pochi studi avevano analizzato in che modo questi due fattori, depressione e bonding, agiscano insieme nel determinare le difficoltà emotive e comportamentali dei bambini in età scolare. Per colmare questa lacuna, un team di ricercatori dell’Università di Shinshu, in Giappone, ha seguito 245 coppie madre-figlio dalla nascita fino alla sesta elementare. Le madri sono state sottoposte a una serie di test per valutare la presenza di sintomi depressivi e la qualità del legame madre-neonato. Quando i bambini hanno raggiunto la sesta classe, sia loro che i genitori hanno compilato un questionario per misurare eventuali difficoltà emotive o comportamentali.
I risultati, pubblicati su Archives of Women's Mental Health hanno così mostrato come il 17,1% delle madri avesse mostrato sintomi riconducibili a uno stato depressivo nelle settimane successive al parto. Questo dato, in linea con la media nazionale giapponese, è stato messo in relazione sia con la qualità del legame con il bambino, sia con le difficoltà riportate anni dopo dai figli.
Il bonding come fattore protettivo
Il dato più interessante emerso dallo studio riguarda il ruolo del bonding madre-figlio come mediatore tra depressione post-partum e difficoltà infantili. Circa il 35% dell’impatto negativo della depressione materna sui figli sembra infatti essere stato "filtrato" dalla qualità del legame affettivo precoce. In altre parole, quando il bonding era solido, le conseguenze della depressione sulla salute psicosociale del bambino risultavano in parte attenuate.

"Questi risultati ci aiutano a comprendere meglio come le esperienze affettive precoci influenzino l’impatto a lungo termine della salute mentale materna sullo sviluppo emotivo e comportamentale dei figli", ha commentato il professor Daimei Sasayama, coordinatore dello studio.
Differenze tra maschi e femmine
Un altro aspetto emerso è legato al genere: i maschi sembrano essere più vulnerabili rispetto alle femmine, con maggiore probabilità di sviluppare problemi comportamentali, iperattività o disattenzione. In generale, i bambini le cui madri avevano manifestato sintomi depressivi mostravano comunque più difficoltà rispetto agli altri, indipendentemente dal genere.
Verso interventi precoci e mirati
I risultati dello studio sottolineano l’importanza di non trascurare la salute mentale delle madri nel periodo post-partum, ma anche di promuovere programmi che rafforzino il legame madre-bambino nei primi mesi di vita. In quest’ottica, diventa fondamentale offrire supporto psicologico tempestivo e strumenti pratici per favorire l’attaccamento sicuro. Gli autori dello studio auspicano che le ricerche future approfondiscano quali sintomi depressivi influiscano maggiormente sul bonding e che includano anche fattori genetici, socioeconomici e ambientali in modo da mettere a punto interventi sempre più mirati per sostenere le madri vulnerabili e tutelare il benessere dei bambini sin dai primi giorni di vita.