Caso famiglia nel bosco, l’esperto: “Il giudice non deve decidere cosa è meglio, ma se c’è un danno”

Ormai da settimane sta facendo discutere il caso dei tre bambini allontanati dalla casa isolata nei boschi di Palmoli, dove vivevano insieme ai genitori. Dopo l'ordinanza del Tribunale dell'Aquila che ha sospeso temporaneamente la responsabilità genitoriale della coppia anglo-australiana, trasferendo i piccoli in una casa famiglia insieme alla madre, l'opinione pubblica si è spaccata a metà: da una parte chi, come il ministro Matteo Salvini, ritiene che i giudici stiano commettendo un sopruso nei confronti di una famiglia che ha abbracciato uno stile di vita alternativo, dall'altra chi invece invita a considerare le mancanze educative e igienico-sanitarie riscontrate dai servizi sociali.
Comunque la si pensi, al centro della vicenda spunta puntualmente un tema che ritorna ogni volta che un giudice decide di limitare o sospendere il ruolo dei genitori: la tutela del cosiddetto "interesse prevalente" (o primario) del minore. Un concetto spesso evocato quando si parla di "fare il bene di un bambino", ma che raramente viene spiegato con precisione. Per comprenderne la portata, Fanpage.it ha intervistato Carlo Rimini, avvocato e professore ordinario di diritto privato all’Università degli Studi di Milano.
Un principio sbandierato, ma poco definito
Nel dibattito pubblico, il richiamo all’interesse del minore appare quasi automatico. Rimini invita però a una distinzione fondamentale: "Il concetto di interesse primario del minore è molto generico ed è difficilissimo darne una definizione unitaria, perché il legislatore lo utilizza in molti contesti, ciascuno con significati diversi".
Ancora più rilevante è il fatto che, nei casi che riguardano la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, il Codice civile non usa questa formula. "La norma non autorizza il giudice a intervenire ogni volta che ritenga che sia possibile compiere una scelta più rispondente all'interesse dei minori rispetto a quella dei genitori. Il Codice – osserva Rimini – consente di intervenire solo in presenza di condotte pregiudizievoli che comportano un "grave pregiudizio del figlio". Il giudice non è dunque chiamato a una valutazione astratta su ciò che sarebbe "meglio" per il bambino, ma a individuare un danno, anche
solo eventuale, ma concreto e verificato per la salute o lo sviluppo del minore. Se si configura un rischio di questo tipo, allora il giudice può (anzi, deve) intervenire, altrimenti rimane compito dei genitori scegliere per i figli in che modo crescerli ed educarli.
Quando la legge consente di intervenire
Gli articoli 330 e 333 del Codice civile stabiliscono che il tribunale per i minorenni può limitare o revocare la potestà genitoriale quando riscontra decisioni che arrecano un pregiudizio ai figli. Nella pratica, si tratta di interventi riservati a situazioni gravi. "La giurisprudenza considera l’allontanamento del minore dalla casa familiare un provvedimento estremamente serio, giustificato solo da condotte altrettanto gravi", chiarisce Rimini.
Tra queste, la violazione dell’obbligo scolastico è una delle più frequenti. Nel caso abruzzese, i genitori avevano optato per l'unschooling (una variante dell'educazione parentale): una scelta prevista dalla legge, purché vengano rispettati i requisiti stabiliti. Se le regole non fossero state seguite, osserva Rimini, questo rientrerebbe a pieno titolo tra i comportamenti pregiudizievoli. Un'altra circostanza rilevante è l'inadeguatezza dell'ambiente domestico. "La legge consente l'intervento quando i minori sono costretti a vivere in un luogo nocivo per la salute". Tuttavia, anche in questo caso, servono elementi fattuali e accertabili.
Il peso della giurisprudenza europea
Le scelte dei tribunali italiani devono inoltre confrontarsi con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. "La Corte ricorda che i bambini hanno diritto a vivere nel proprio ambiente familiare e che l'allontanamento è giustificabile solo in casi estremi". Non solo. L’allontanamento non può essere disposto senza limiti temporali: "Deve essere una soluzione provvisoria, finalizzata a rimediare a una situazione che si presume risolvibile. Non esistono allontanamenti a tempo indeterminato. Se i genitori sono considerati inadeguati e la situazione non è risolvibile in un tempo determinato, l’unica strada percorribile è la dichiarazione di adottabilità del minore". Il principio, dunque, non apre a valutazioni discrezionali sul modello educativo o sullo stile di vita della famiglia, ma impone al giudice di intervenire soltanto su fatti chiari, oggettivi, documentati.
Il caso della famiglia nel bosco
Applicando questi criteri, Rimini invita a valutare il caso di Palmoli per ciò che è, senza sovrapporre giudizi culturali o politici. "La discussione pubblica è apparsa a tratti lunare, anche per via di interventi della politica che c’entrano poco con le decisioni quotidiane dei tribunali per i minorenni". A tal proposito, il professore tiene anche a distinguere nettamente tra danni accertati e scelte legittime, anche quando controverse. L'eventuale isolamento sociale dei bambini per effetto delle scelte di vita dei genitori, per esempio, a parer suo non dovrebbe rientrare tra i motivi di allontanamento: "Che una certa scelta comporti una diminuzione delle relazioni può essere vero, ma è la scelta dei genitori. Ogni stile di vita ha pro e contro. Non possiamo trasformare il giudice in un arbitro discrezionale delle scelte educative".
Rimini esprime inoltre dubbi su alcune motivazioni riportate dai giornali, definite "al di sotto della soglia di allarme". Un giudice, sottolinea, deve restare dentro i confini tracciati dalla legge, per evitare derive pericolose: "Se fosse consentito al giudice di imporre ai genitori uno stile di vita che egli considera migliore di quello adottato dai genitori o di allontanare un figlio dalla casa familiare se il genitore non si adegua allo stile di vita ideale voluto dal tribunale, domani dovremmo togliere i figli a tutti i genitori che lavorano troppo lasciando i figli per molte ore davanti ad uno schermo o vivono in periferie degradate. È una strada pericolosa, della quale si vede l'inizio ma non la fine".