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Un libro di fotografia scritto da un computer: quando la tecnologia incontra la creatività

Si tratta di un esperimento di un giovane designer: “Computed Curation” è il primo foto-libro interamente curato da un computer. Con risultati interessanti.
A cura di Federica D'Alfonso
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Computed Curation (@philippschmitt)
Computed Curation (@philippschmitt)

Può un computer scrivere un libro? L’interesse per il rapporto fra la creatività e i software di apprendimento automatico cresce sempre di più, ed è in questo contesto che è nato il primo libro di fotografia scritto da una macchina. L’idea è stata del designer Philipp Schmitt, che ha programmato il suo computer per produrre un foto-libro in tutte le fasi della sua elaborazione, dalla scelta delle foto alla creazione del prodotto finale. Il risultato, sostiene Schmitt, ci fa vedere le cose da una nuova prospettiva, “come attraverso gli occhi di un algoritmo”.

Computed Curation, questo il titolo del libro, raccoglie circa duecento fotografie scattate dallo stesso Schmitt tra il 2013 e il 2017, che il computer ha organizzato in sequenza e arricchito con descrizioni e tag. Sfogliandolo, si comprende un po’ meglio come le macchine “leggono” e “guardano” il nostro mondo: l’album fotografico presenta non poche stranezze e molte incongruenze fra immagini e descrizioni. Alcune immagini, infatti, vengono interpretate dal computer in modo totalmente diverso dalla raffigurazione reale: “un cane seduto su un marciapiede” è in realtà una donna che cammina al guinzaglio per le strade di Los Angeles.

Computed Curation (@philippschmitt)
Computed Curation (@philippschmitt)

Il risultato è abbastanza divertente, in effetti. Ma è anche utilissimo per comprendere un po’ meglio il funzionamento delle capacità creative delle macchine: l’algoritmo di apprendimento ha ordinato le immagini in base alle somiglianze ottenendo un insieme sparso di fotografie in cui quelle con caratteristiche simili sono più vicine l’una all’altra. La logica dietro la sequenza è molto semplice e chiara: una foto di una spiaggia segue quella di alcune rocce perché i paesaggi condividono gli stessi colori e le stesse trame, e così i paesaggi urbani di Berlino e quelli irlandesi.

Al di là dei difetti dell’algoritmo, che Schmitt invita a leggere come una sorta di “calcolo poetico” per vedere le cose “in modo nuovo”, l’esperienza del “Computed Curation” ha sollevato non poche critiche circa la presunta possibilità di sostituire il cervello umano anche nei processi creativi. Ma Schmitt la vede diversamente: il programma non potrebbe mai sostituire un vero editore, in quanto non è capace di associare, per esempio, le immagini alle emozioni, ma la pratica creativa computerizzata può comunque essere utile in quanto evidenzia modelli creativi che all’occhio umano sfuggono.

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