Quando chi ami diventa un estraneo, dentro la mente della sindrome di Capgras

Immagina di vedere il volto di una persona cara e riconoscerlo, ma allo stesso tempo essere convinto che quella persona non sia chi dice di essere, come se un perfetto sosia avesse preso il suo posto. Questa è la realtà paradossale vissuta da chi soffre della sindrome di Capgras, conosciuta anche come sindrome dell'impostore, un disturbo tanto raro quanto sconcertante, che mescola delirio, riconoscimento facciale e memoria emotiva. Introdotta per la prima volta nel 1923 dal psichiatra francese Joseph Capgras, questa condizione appartiene alla categoria delle delusional misidentification syndromes (sindromi da falsa identificazione). Non è solo una curiosità clinica: può emergere in una varietà di contesti patologici, dalle malattie neurodegenerative ai disturbi psichiatrici acuti, e può avere un impatto profondo sulla vita sociale e affettiva di chi ne soffre e di chi gli sta accanto.
Che cos’è la sindrome di Capgras e chi ne soffre
La sindrome di Capgras, nota con il nome sindrome dell'impostore, è una forma di delirio da falsa identificazione: la persona delira che un individuo noto, dalla famiglia all'animale domestico, sia stato sostituito da un impostore identico. A livello neurologico, non c’è difficoltà nel riconoscere il volto, il viso rimane familiare, ma l’elemento emotivo, quell’affetto interiore, sembra mancare. Nel 1997, Hirstein e Ramachandran hanno proposto una teoria particolarmente suggestiva per spiegare questo raro fenomeno che colpisce meno dell'1% della popolazione: sostengono che vi sia una disconnessione funzionale tra le aree visive del cervello (in particolare il lobo temporale) e quelle limbiche, come l’amigdala, responsabili della risposta emotiva. In parole più semplici, la persona vede chi conosce, ma non sente e non percepisce la familiarità, e per questo reagisce a quel volto come se fosse la prima volta. Per quanto riguarda l’incidenza, i dati vanno interpretati con cautela, perché la sindrome di Capgras è relativamente rara e spesso non rilevata. Un'analisi su pazienti con Alzheimer ha mostrato una prevalenza intorno al 6% su circa 1.977 soggetti analizzati. Ma non si tratta solo di Alzheimer. In una retrospettiva più ampia, la maggior parte dei pazienti con Capgras (circa il 69%) presentava una malattia neurodegenerativa, soprattutto demenza con corpi di Lewy.
Come si manifesta e che impatto ha nella vita reale
Il sintomo centrale della Capgras è la convinzione delirante che una persona cara sia stata rimpiazzata da un impostore identico: non è un errore di memoria, né un’amnesia, ma una disconnessione tra la percezione visiva del volto e la risposta emotiva che ci si aspetterebbe. Questo fa sì che la persona non riesca a costruire una storia emotiva condivisa con l’altro, perché ogni volta sembra ricominciare da zero o addirittura può arrivare a essere aggressivo. Nei pazienti con demenza da corpi di Lewy, la Capgras sembra essere particolarmente legata ad altri sintomi: uno studio sui 55 casi ha mostrato che chi aveva la sindrome lamentava più frequentemente allucinazioni visive e ansia, e i loro tutori segnalavano un carico emotivo più elevato. Questo significa non solo che la persona malata vive un mondo interiore tormentato, ma che chi sta accanto a lei si trova spesso in una condizione estrema di stress: l’idea stessa di essere sostituiti è dolorosa, alienante, e spesso porta a un isolamento relazionale. Il fatto che la convinzione delirante dell'impostore peggiori verso sera in molti pazienti suggerisce anche un legame con l’aumento dello stress emotivo.
Come convivere con la sindrome di Capgras
Affrontare la sindrome di Capgras significa prima di tutto capire da cosa origina: per questo è fondamentale un approccio multidisciplinare che includa neurologia, psichiatria e neuropsicologia. Si tratta di una condizione rara ed estremamente complicata. Una valutazione clinica è fondamentale per identificare eventuali problemi cerebrali o segni di malattia neurodegenerativa, mentre i test neuropsicologici possono aiutare a misurare la capacità di riconoscere volti, memoria ed elaborazione emotiva e l'eventuale stadio della condizione. Sul fronte farmacologico, non esistono ancora cure specifiche, spesso si interviene sulla condizione di base. Sul piano psicoterapeutico e relazionale, l’approccio più efficace sembra essere quello dell’orientamento alla realtà, ma in modo gentile, non conflittuale. Negare duramente la realtà vissuta dal paziente può intensificare il delirio.