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Stamina, Vannoni si difende: “Nessuna truffa, porterò i malati all’estero”

Davide Vannoni, il “papà” del controverso metodo Stamina, racconta al quotidiano Repubblica la sua verità. Dice di non aver mai truffato nessuno e di essere intenzionato a continuare la sperimentazione lontano dall’Italia.
A cura di Susanna Picone
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Il metodo Stamina di Davide Vannoni è da mesi spesso al centro delle cronache nazionali. Si parla di Stamina per gli attacchi che spesso la “cura”, secondo i suoi promotori a base di cellule staminali e in grado di aiutare chi soffre di malattie gravi e invalidanti, ha ricevuto da parte della comunità scientifica, si parla del metodo per le indagini della magistratura e anche per le proteste, talvolta violente, di quanti chiedono di accedere ad esso. Questa volta a parlare di Stamina è direttamente il suo “papà”, il presidente di Stamina Foundation Davide Vannoni. In un’intervista a Repubblica Vannoni, che è indagato per truffa e associazione a delinquere, racconta quella che è la sua verità. Conferma di non essere un medico (è laureato in lettere e filosofia e ha una cattedra in psicologia all’Università di Udine) ma neppure un truffatore in quanto, nonostante le denunce di diverse persone, dice di non aver mai preso soldi da nessuno a Brescia. “Quando lavoravo a San Marino – racconta Vannoni – qualcuno pagava, ma solo quelli che potevano permetterselo, a Brescia mai. Non so come si usa una siringa, però non accetto che mi diano del ciarlatano”. Il fondatore del metodo Stamina spiega a Repubblica di essere intenzionato a continuare la sua sperimentazione all’estero, di dare la possibilità ai malati di curarsi lontano dall’Italia. Nell’intervista Vannoni dice di essere vittima della lobby dei farmaci, della burocrazia e della politica: “Tutto sulla pelle di chi sta morendo”.

Perché non renderà pubblico il metodo – Dice che secondo lui Raffaele Guariniello, che a Torino sta indagando su Stamina, “avrebbe archiviato tutto senza le pressioni del ministero della Salute”. E non evita di parlare anche del ministro Beatrice Lorenzin: quando Repubblica gli ricorda che secondo il ministro lui “macchia l’immagine dell’Italia”, Vannoni risponde che “la macchia più questa signora”, su 150 malati in lista d’attesa, “ne sono morti già otto dopo lo stop della sperimentazione imposto da Roma, e tre erano bambini”. Vannoni difende il suo metodo affermando che gli unici rischi per i suoi pazienti sono quelli legati all’improvvisa interruzione delle cure e dicendo che mai nessuno ha sofferto per effetti collaterali. E ricorda perché non ha intenzione di rendere pubblico il protocollo, nonostante le numerose richieste: “Perché non è brevettato, e per evitare che in Israele oppure a Hong Kong qualcuno lo metta in pratica copiandolo e chiedendo 30mila euro a iniezione”. Nel corso dell’intervista Vannoni risponde anche a chi lo accusa di viaggiare in Porsche: “Sbaglia chi usa la mia auto per attaccarmi, è l'unico sfizio della mia vita, anche se forse non è stata una grande idea a livello di immagine”.

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