Martina Trevisan: “Non riuscivo più a camminare. Chi accusa Sinner non ha mai preso una racchetta”

Martina Trevisan è tornata a fare ciò che più le piace. La tennista toscana, dopo il lungo stop per l’intervento al tallone, è ripartita nel circuito con l’obiettivo di togliersi qualche soddisfazione, risalire il ranking (che la vede oggi al numero 283) e, soprattutto, divertirsi. Lo ha fatto con il sorriso, ma anche con la consapevolezza di chi ha affrontato un percorso duro, fisicamente ed emotivamente. Dalla sindrome di Haglund che l’ha costretta a fermarsi, alla difficoltà di camminare normalmente, fino alla decisione inevitabile di operarsi: tutto all'insegna della resilienza e dell'amore per il tennis.
Ai microfoni di Fanpage.it, Martina ha affrontato diversi argomenti: dalla nostalgia per la competizione alla forza mentale necessaria per superare i momenti difficili, dal sostegno ricevuto dai suoi tifosi ai riferimenti al panorama femminile attuale, fino al sogno di tornare a vincere e alla finale di Wimbledon tra Sinner e Alcaraz, seguita con il cuore e grande ammirazione.
Martina, dopo mesi difficili, sei tornata in campo con il sorriso: cos’hai provato nel riassaporare la routine dei tornei?
"Sono stata felicissima, non vedevo l’ora di rientrare. Anzi, diciamo proprio che fin dal giorno dopo l’intervento tutta la mia determinazione e ogni mia azione sono state rivolte al rientro. Ho lavorato per tutti questi mesi per poter tornare in campo il prima possibile e, quando finalmente ce l’ho fatta, mi sono sentita come se, dopo una lunga assenza, fossi tornata a casa".
C’è qualcosa che ti è mancato di più durante lo stop forzato?
"A mancarmi è stata proprio l’aria che si respira ai tornei: un’aria fatta di adrenalina, emozione, voglia di vincere e dare il massimo. Anche la tensione positiva che sento prima di scendere in campo mi è mancata, quelle farfalle nello stomaco che mi accompagnano mentre percorro il corridoio e che esplodono in una scintilla di felicità quando colpisco la prima pallina di ogni match".
E se dovessi scegliere qualcosa che invece non ti è mancato affatto?
"A non mancarmi affatto sono le polemiche, gli attacchi gratuiti, le minacce che sempre più spesso noi tennisti riceviamo da haters e scommettitori. È un problema di cui ho già parlato, come altri hanno fatto, e su cui preferisco non soffermarmi perché è qualcosa su cui non posso ovviamente avere alcun controllo e quindi finirebbe solo col drenarmi energia positiva. Ad oggi è un dato di fatto che i social abbiano spalancato la porta anche alla violenza, quanto di più lontano dallo sport esista al mondo. In generale, però, posso dire che la nostalgia per la competizione è stata tantissima ma, per fortuna, ora è passata".

Fisicamente come ti senti adesso, ti sei tolta un peso?
"Il problema al tallone mi aveva reso impossibile non solo giocare ma, nelle fasi più acute, anche camminare normalmente. Ho provato ogni tipo di trattamento e terapia pur di evitare l’intervento, che sapevo mi avrebbe costretta a fermarmi per molti mesi. Alla fine, però, ho capito che era l’unica soluzione definitiva e non palliativa al mio problema. Oggi posso davvero dire di essermi tolta un peso dal cuore, perché giocare con un handicap come la sindrome di Haglund è destabilizzante anche dal punto di vista emotivo: non sai mai se e quanto ti farà male il tallone durante la partita e, inevitabilmente, parte della tua concentrazione si perde in questa incognita".
Tu sei una forza della natura. Hai mai avuto brutti pensieri, compresi quelli relativi al voltare pagina dopo il tennis?
"Non so se sono una forza della natura, ma so che sono il risultato di tutte le prove e tutte le difficoltà che la vita mi ha messo davanti e che ho lottato per superare. I pensieri brutti, così come la sofferenza, fanno parte della vita di ogni essere umano: nessuno può essere costantemente felice. Il punto, però, è imparare a trasformare ogni ostacolo, ogni dolore, in una nuova occasione di crescita e consapevolezza per diventare una persona migliore, più empatica, più aperta e attenta alla vita. Quanto al voltare pagina dopo il tennis, diciamo che qualche anno fa mi ero allontanata dalle competizioni, ma il tennis è così parte di me che questo allontanamento si è concluso in un ritorno. Coi grandi amori funziona così, no?"

Qual è stato il pensiero più bello che ti ha motivato in questo periodo?
"Il pensiero era sempre all’emozione che provo quando scendo in campo, ho lavorato ogni giorno pensando proprio a quella, impegnandomi al massimo per poterla rivivere il prima possibile. E poi, ovviamente, i miei tifosi, che sono sempre stati dalla mia parte e mi hanno sostenuta durante il recupero. Tra questi non posso dimenticare la mia Famiglia Acrobatica, che è sempre stata accanto a me in questi mesi facendomi sentire il suo sostegno e la sua fiducia".
Oggi molti tifosi danno tutto per scontato: quanto è difficile rientrare dopo un infortunio?
"Il rientro, anche grazie a chi non ha mai smesso di credere in me, è stato difficile, ma niente in confronto a ciò che ho vissuto nei mesi scorsi. Ora occorre solo un pochino di tempo per riprendere confidenza con la competizione e portare il mio fisico al 100%, perché 248 giorni di assenza dai match, con un intervento di mezzo, qualche piccolo strascico, che conto di riassorbire il più velocemente possibile, lo lasciano".
Hai mai pensato a come sarà la tua vita dopo il tennis o è ancora troppo presto per pensarci?
"Penso sia ancora troppo presto! Comunque, durante gli Internazionali d’Italia a Roma ho collaborato con SuperTennis come commentatrice e mi sono davvero divertita. Chissà che quell’esperienza non sia stata una veloce incursione in un futuro ancora lontano. Anche allenare i bambini, farli crescere, insegnare loro non solo a impugnare una racchetta, ma anche a vivere lo sport con il giusto atteggiamento, è qualcosa che mi piace molto. In passato l’ho già fatto e mi ha dato tante soddisfazioni".

Hai un sogno che vorresti ancora realizzare nel tennis, oppure vivi alla giornata, pronta a viverti ogni soddisfazione che il campo ti darà?
"Non mi piace in generale vivere alla giornata e credo che per uno sportivo professionista sia impensabile farlo. Ogni gesto, ogni allenamento, ogni azione che fai è indirizzata a un obiettivo: vincere quel match, quel trofeo, tirando fuori la parte migliore di te. Questo non significa che io non mi goda ogni singolo istante in campo, significa solo che quel singolo istante è il risultato di un duro lavoro. I sogni non si dicono, altrimenti non si realizzano".
Che tennis ritrovi nel panorama femminile dopo la pausa, qualcuna delle tue colleghe ti ha stupito in particolare?
"Un tennis di livello altissimo, in cui stanno emergendo talenti straordinari come quello di Mirra (Andreeva, ndr), che da gennaio ad oggi ha fatto una crescita impressionante. Oltre a lei, sono rimasta davvero colpita dalla performance di Amanda (Anisimova, ndr) a Wimbledon: mi spiace che non abbia vinto, anche se sono contenta che Iga abbia sollevato il trofeo, chiudendo nel modo più bello un momento piuttosto difficile dal punto di vista dei risultati. Tra le italiane, invece, devo dire che la Coccia (Elisabetta Cocciaretto, ndr) ultimamente sta giocando match di altissimo livello: uno su tutti, quello di Wimbledon contro Jessica Pegula. È stata fantastica".
Hai seguito la finale di Wimbledon tra Sinner e Alcaraz? Che impressione ti ha lasciato, da professionista e da tifosa?
"Certo che l’ho seguita e ho tifato per Jannik con tutto il fiato che avevo in gola. È un ragazzo straordinario e non si può proprio non tifare per lui, per quel tennis così pulito e affilato che mette in campo ogni volta. Chi lo accusa di avere uno stile di gioco poco emozionante probabilmente non ha mai preso in mano una racchetta, perché vedere Jannik giocare, riconoscendo come faccia apparire semplici anche i gesti più complessi, è una gioia per gli occhi e per il cuore. E non lo sto dicendo solo da tifosa, ma anche da professionista che sa come certi lungolinea di rovescio siano uno schiaffo alle leggi della fisica".

Sinner ha reagito con grande forza dopo la sconfitta di Parigi. Quanto conta la componente mentale a certi livelli?
"Lo sport, qualsiasi sport, ad alti livelli è all’80% una questione mentale. Il risultato finale spesso dipende da quanto riesci a rimanere concentrato e determinato, a non farti tremare il polso nel punto decisivo. Nel caso della sconfitta di Parigi, dopo tre match point peraltro, Jannik ha dimostrato di avere una capacità di ripresa e resilienza che penso dovrebbero essere studiate in ogni accademia di tennis, anzi in ogni scuola. Primo Levi spiegava: ‘Non c’è futuro senza memoria'".
E arriviamo a Wimbledon.
"Ecco, io credo che la memoria migliore, quella che ha permesso a Jannik di vincere in quattro set su Carlos, sia come un colino con le maglie strette che lascia passare ciò che è inutile, dannoso per la crescita e il miglioramento di sé, e trattiene ciò che invece è utile e funzionale al cambiamento. Serve un grande coraggio, un’attitudine mentale determinata e positiva per trasformare in un mese quello che avrebbe potuto essere un trauma paralizzante in una straordinaria vittoria. Ecco perché la mente è l’80%: se sei in grado di trasformare il ‘veleno' di una sconfitta nella ‘medicina' che serve a una vittoria, hai tutto quello che serve per essere un campione. Nello sport, certo, ma soprattutto nella vita".