Diego Nargiso: “Ho visto da vicino la reazione di Sinner. Una volta Djokovic mi difese dai fischi”

Diego Nargiso è stato uno dei grandi protagonisti delle ATP Finals: la voce che ha accompagnato ogni emozione, ogni coro, ogni abbraccio tra Sinner e il suo pubblico. Appena spenti i riflettori di Torino, però, per l'ex tennista azzurro non c’è tempo di respirare: si riparte subito con la Coppa Davis, una competizione che in lui evoca ricordi dolcissimi.
Con Diego ai microfoni di Fanpage abbiamo parlato dell’Italia senza Sinner, del peso di Berrettini, della riforma Davis, ma anche, e soprattutto, di ciò che non si vede: l’empatia con i grandi campioni, i segreti di un’intervista a caldo, il rapporto speciale con Jannik, la rivalità storica con Alcaraz e quei momenti in cui il tennis diventa qualcosa di magico. Un dialogo sincero, a cuore aperto, con uno dei volti più riconoscibili e rispettati del nostro sport.
Diego, sei stato la voce delle ATP Finals con le tue interviste, ora riparti senza sosta con la Davis. Da uomo Davis quale sei stato, che sensazioni hai?
"Ogni Davis è un'impresa, per cui è ovvio che giocando con Sinner tu parti quasi sempre 1-0. In questo caso non lo puoi fare, anche se i ragazzi sono molto forti, hanno dimostrato anche durante questo scorcio di stagione di essere competitivi. Oltre al capitano hai un altro capitano: sappiamo quanto Matteo Berrettini sia importante, proprio come l’anno scorso. Quella Davis è stata tanto anche merito suo. E quindi Matteo c’è, c’è una squadra forte vicino, c’è una squadra di giovani che ha sempre dimostrato di essere presente".
Insomma sembri fiducioso, la forza del gruppo potrebbe sopperire alle assenze?
"Noi ricordiamo sempre gli ultimi atti della Coppa Davis, ma prima di quelli, senza i vari Cobolli, i vari Sonego, non sarebbero poi arrivate le vittorie magari nei gruppi prima di arrivare in finale, oppure prima che Sinner giocasse. Quindi la squadra è forte, è molto forte. È chiaro che, non avendo più un leader veramente numero uno, diventa sicuramente una forza di gruppo importante quella che Filippo Volandri ha poi costruito nel tempo".
Proprio a Torino sono arrivate le prese di posizione di Sinner e Alcaraz, entrambi assenti, sulla necessità di riformare la Davis. Sei d'accordo?
"È chiarissimo che si è già fatto un passo molto verso il passato, facendo già l’home and away nelle partite di qualificazione. Questo comincia a essere già qualcosa di importante, perché hai ripristinato quello che rappresentava il cuore della Davis, che era sicuramente giocare in trasferta o in casa secondo il sorteggio. Questo era quello che dava una connotazione a questa manifestazione completamente diversa dalle altre".
E il fatto di giocarla ogni due anni?
"Potrebbe avvalorare ancora di più la cosa, perché magari si giocherebbero molte più partite home and away, sarebbe un pochino più lunga, con qualificazioni più importanti che potrebbero riportare quel tipo di idea e creare anche più volontà di arrivare a giocare una volta ogni due anni. Però è ovvio che allo stesso tempo la federazione internazionale difficilmente accetterà una cosa del genere. Per esempio, il fatto che la manifestazione sia sempre stata annuale, con una cadenza fissa da sempre, determina poi il numero di vittorie di una nazione. Insomma, andrebbe a rivoluzionare ancora di più quella che è poi la tradizione".
Parliamo di te e del tuo ruolo di intervistatore in campo. Come cerchi di entrare in sintonia con i campioni?
"Guarda, io personalmente credo che, forse guardando tutte le partite, cercando di capire un pochino quali sono le emozioni… Le seguo spesso da dentro al campo, da vicino. La cosa più importante è cercare di capire il momento dell’atleta e le emozioni che sta vivendo. Ci sono state tante partite in cui il giocatore ha vinto, ma non aveva i favori del pubblico, o viceversa".

Il fatto di essere stato un giocatore ti aiuta, immagino…
"Il fatto che io sia stato giocatore e abbia giocato, non alle ATP Finals, ma in questo genere di manifestazioni davanti a tante persone, e avendo vissuto a lungo quei momenti, forse mi aiuta a capire qual è la frase giusta da chiedere in quel momento. Oppure a leggere ciò che il giocatore in quel momento ha fatto di buono o di meno buono, che può diventare il punto focale della domanda. Non lo so, è un po’ di anni che lo faccio e forse i giocatori mi conoscono".
Sembra che ci sia grande empatia. D’altronde tu conosci bene tutti.
"Molta empatia, possiamo dirlo. La fortuna è che conosco tutti: se guardi i migliori… per farti un esempio: Vagnozzi è un ragazzo che ho visto crescere; Ferrero e Alcaraz idem; la mamma e il papà di Zverev li conosco da quando Alexander vinceva i tornei juniors. Medvedev, per dire, aveva Cervara, che conosco; e per quanto riguarda Auger-Aliassime, il coach Fontang ha giocato con me all’Under-14. Li conosco da sempre. Conoscendo tutti gli allenatori e i team che li compongono, i ragazzi sono ben predisposti a parlare".
Ci sono mai state occasioni in cui hai registrato malumori del pubblico e quali sono i momenti che ricordi con più piacere?
"Non ho mai avuto la sensazione di constatare fastidio. Due cose che posso ricordare con grande piacere. L’ultima, quella di quest’anno, quando Alcaraz aveva vinto la semifinale, era raggiante, veramente. Aveva fatto questa semifinale dove ha vinto ed è incredibile. È stato incredibile il fatto che lui fosse proprio felice e, nella felicità, ha detto anche — scherzando con il pubblico — che avrebbe sperato in finale di avere almeno 3-4 supporter. È stato molto divertente perché alla fine è stato molto ironico e si è guadagnato poi l’ovazione del giorno dopo".
E andando indietro negli anni?
"Ricordo con piacere una volta in cui Djokovic, qualche anno fa — forse un paio — mi difese dal pubblico. Perché a un certo punto in una partita lui aveva fatto veramente diverse discese a rete. Io, che tra l’altro ho lavorato anche con Novak Djokovic, con i suoi giovani giocatori, quelli che erano parte del suo team juniors, e quindi lo conosco molto bene, dissi in un’intervista che lo avevo visto veramente bene nella fase verticale di venire a rete e mi scappò un “come piaceva a me giocare”. Il pubblico fece un rumorio abbastanza forte e Novak, in quel caso, mi difese dicendo: ‘No ragazzi, voi non sapete come giocava Diego Nargiso, giocava veramente bene'. Lì fu molto carino, perché lui mi difese e quello me lo ricordo bene".
Poi inevitabile il pensiero ai momenti con Sinner e con gli ormai classici cori per lui.
"Poi un’altra cosa carinissima è che ogni volta che partiamo con l’intervista con Jannik, ormai sono anni che la facciamo a rete, non riusciamo mai a fare la prima domanda senza che due o tre volte partano i cori. Jannik ogni volta lo vedo super felice ed emozionato di ricevere ogni volta i cori di tutto lo stadio. Quando sei lì in mezzo ci si rende conto: sentire 12-13 mila persone che urlano il tuo nome è una cosa molto forte".
Lui sembra davvero emozionato, a volte anche con gli occhi lucidi.
"Lui ogni volta, e sono lì vicino, ha questo sguardo molto molto emozionato del ragazzo speciale che è. Sempre molto emozionato, ha costruito questo grande feeling con tutto il pubblico italiano. Si percepisce che è davvero colpito dalla gente. È una dimostrazione di affetto, la gente non può fare altro che farlo attraverso il coro, perché non potendolo toccare, non potendoglielo dire da vicino, glielo dice da lontano insomma".
Tu come lo hai trovato nelle interviste, c'è qualcosa che è sfuggito alle telecamere?
"Guarda, credo che lui veramente, alla fine di ogni partita, sia talmente lucido che analizza sempre bene. Infatti con lui la maggior parte delle domande che faccio sono soprattutto legate proprio alla sua sensazione in campo, a quello che ha fatto, se gli allenamenti e il lavoro che ha svolto li ha poi ‘sentiti'. E lui è sempre molto lucido nell’esaminare le cose migliori, ma anche le cose meno buone che ha fatto durante quella partita. Quindi devo dirti che ha questa capacità di analisi immediata anche un minuto dopo la partita, anche se sono partite che ha vinto. Però è molto lucido e non si lascia trascinare dalle emozioni della partita vinta, quindi non dimentica se non ha fatto bene determinate cose".

Tu che hai avuto appunto un occhio privilegiato, al di là delle indicazioni ovviamente tecniche – il servizio più incisivo, le famose variazioni – ti ha colpito nello specifico qualcosa in quest’anno di lui proprio a 360 gradi?
"Se devo dirti la verità, la cosa che sta impressionando sempre di più è la forza nei momenti importanti della partita. L’ha dimostrato anche con Alcaraz ieri: quando arriva vicino al successo è difficile che perda, con chiunque. È chiaro che l’unico giocatore che, giocando alla pari con lui, riesce poi ad alzare il livello tecnico talmente tanto che in alcuni casi Jannik non riesce a stargli dietro è Alcaraz. Questo succede quando Carlos entra in quella specie di bolla e diventa ingiocabile, semplicemente perché riesce a esprimere un tennis da marziano".
Ti ricorda qualcuno in particolare?
"Quello che mi impressiona è la forza nei momenti più delicati. Lui, l’ho sempre detto, mi ricorda Borg: oltre al gioco, per due motivi. Uno, perché i giocatori ormai entrano in campo contro di lui sapendo che è quasi impossibile batterlo, a meno che lui non abbia un problema fisico, oppure all’improvviso durante la partita non gli venga fuori qualcosa. Lui quest'anno ha perso con un solo giocatore oltre ad Alcaraz, ovvero Bublik sull'erba. Ma anche con Carlos poi una volta si è ritirato, un'altra ha perso dopo tre match point… E tutti lo sanno, i numeri sono lì. Lui dimostra ogni volta che, in difficoltà, riesce sempre a giocare ancora meglio. E quindi leva ogni dubbio su chi sia il migliore in campo: Jannik, che è veramente quasi impossibile da battere".
Abbiamo avuto anche la dimostrazione di quanto sia bello il rapporto tra Jannik e Carlos, non credi?
"È sincero, tra di loro non sono frasi di circostanza. Sinner dice: ‘nel momento in cui non sono io numero uno, l’unica persona a cui consegnerei il premio sei tu, perché credo che tu lo meriti'. Allo stesso tempo quando Carlos dice: ‘sei un grande perché vieni fuori sempre dalle situazioni difficili, in campo e fuori'… questo è sintomatico. Nel senso che chiaramente si sono, diciamo, in qualche modo dichiarati una stima reciproca eccezionale".
Magari a fine carriera arriverà un'amicizia totale?
"Carlos, nel momento in cui anche Jannik è stato accusato del discorso relativo al doping, si è sempre schierato nei confronti di Jannik. E quindi tutto questo, secondo me, non può che testimoniare la loro grande stima reciproca, no. Quindi: sincera stima reciproca, che ovviamente non può essere amicizia, perché l’amicizia è difficile coltivarla tra due persone che hanno lo stesso interesse, cioè quello di essere l’uno migliore dell’altro. Ma totale stima reciproca e rispetto, quello assolutamente sì. Ci sarà tempo, forse, per l’amicizia dopo la carriera, senza dubbio, perché poi sono due ragazzi che si ritroveranno a fare la storia del tennis mondiale, come si stanno trovando adesso. A quel punto ci sarà anche una sincera amicizia, dato che finita la competizione molto probabilmente non ci sarà più motivo di non svilupparla anche fuori dal campo".
A che posto metti questa rivalità eccezionale, paragonandola alle altre che hai vissuto?
"La loro è l'ultima di una lunga lista, parliamo di Laver–Rosewall, di Borg–McEnroe, di Agassi–Sampras, di Federer–Nadal e poi si è messo dentro Djokovic. Parliamo di quelle grandi rivalità di atleti di assoluto livello, e loro sono i loro eredi. Quando Federer e Nadal erano sulla via del tramonto e Djokovic ha imperversato negli ultimi anni, tutti quanti ci siamo sempre domandati cosa sarebbe successo dopo. Noi semplicemente – sia io che tutti gli altri che hanno vissuto tanto tennis – abbiamo sempre detto che, come sempre, sarebbe arrivata una nuova rivalità: bisognava soltanto aspettare il momento giusto. Sono arrivati questi due fenomeni che nel giro di poco tempo hanno sicuramente preso il testimone di altri grandi campioni. L’attualità dice che adesso sono loro i grandi fenomeni e, come sempre, è normale: l’umanità va avanti e i “vecchietti” rimangono nella memoria di tutti. Ma nell’attualità sono loro i nuovi idoli".
In chiusura Diego, qual è stato il momento più divertente per te di queste ATP Finals?
"La cosa più divertente che è successa è il momento in cui Alex De Minaur vince il suo primo match a Torino e si scusa con Torino dicendo che finalmente c’era riuscito. È un gesto bellissimo quello di De Minaur e molto divertente: ha fatto ridere tutti il fatto di dire finalmente sono riuscito a vincere davanti a voi, ci ho provato tanti anni', ha fatto ridere praticamente tutto lo stadio".
Qualcuno dei giocatori ti ha detto qualcosa a microfoni spenti?
"Di solito io non entro in campo perché i ragazzi stanno facendo l’intervista e quindi, off the record, non ho grandi aneddoti, perché parlo con i ragazzi, con i giocatori, con gli allenatori… però sono cose che devo tenermi dentro lo spogliatoio, sono cose molto importanti. Quello che posso dire è che io credo tantissimo che ci sia un giocatore che crede molto nella possibilità di avvicinare questi due ragazzi, ed è Ben Shelton: anche lui, insieme a tutto il suo staff, ha grande fiducia nel fatto che sono solo due anni che ha cominciato il circuito e che quindi arriverà a giocarsi i tornei più importanti con loro".