Paolo Baldieri: “Capello mi voleva al Milan ma Berlusconi aveva un pupillo. Oggi sono proprietario di un ristorante”

Paolo Baldieri ha vissuto due vite, una da promessa del calcio e una da ‘uomo normale'. Era considerato una delle stellinepiù luminose del calcio italiano degli anni '80 e alcune sue prestazioni, anche a distanza di anni, fanno capire il motivo. Cresciuto nella Romulea e portato alla Roma dal Barone Nils Liedholm, questo ragazzo di Ladispoli era considerato uno dei migliori prospetti della Capitale, insieme a Giannini, e a livello nazionale.
Azeglio Vicini è molto attento al suo talento e lo porta nell'Under 21 di Vialli, Zenga e Mancini: segna 9 goal in 14 partite negli Europei di categoria che perdemmo contro la Spagna ma quando il CT costituirà l'ossatura della squadra per Italia '90, Baldieri non ci sarà nonostante sia insieme a Paolo Rossi l'unico calciatore che ha segnato in cinque partite consecutive con l'U21.
Con la Roma non riesce mai a trovare una sua dimensione mentre in provincia Baldieri è molto apprezzato: a Pisa lo lanciano subito titolarissimo ed protagonista della promozione dei toscani in Serie A, a Lecce ed Avellino diventa subito beniamino dei tifosi per le sue giocate estemporanee.
"Vola, sotto la curva segna, la rete gonfia ancora, la curva s'innamora, Paolo Baldieri", non tutti possono fregiarsi di avere un coro personalizzato sulle notte de ‘La notte vola' di Lorella Cuccarini ma non baratterebbe mai la sua vita attuale con quella di prima: "Realizzarmi in qualcosa di nuovo mi affascinava. Il lusso, per me, è potersi permettere di vivere con serenità e con tranquillità".
Paolo Baldieri a Fanpage.it ha raccontato aneddoti sconosciuti della sua carriera, ha parlato del suo ruolo di collaboratore per la FIGC nelle nazionali giovanili e del suo legame con Gianluca Vialli.
Cosa fa oggi Paolo Baldieri?
“Ho un albergo con un ristorante ma io curo più il secondo. Siamo praticamente attaccati al mare. Da qualche giorno c’è un turismo un po’ più concentrato e abbiamo una buona clientela. La mia squadra prima era in campo ora è in cucina. È stata per un po’ di tempo in gelateria ma ora di quella se ne occupano i miei figli".
Baldieri è un figlio di Roma: prima la Romulea e poi i colori giallorossi grazie a Liedholm. Era nella Primavera con Giannini e Desideri, ma l'anno dopo viene aggregato alla prima squadra che vincerà lo Scudetto: che calcio era quello degli anni ’80 in Italia?
"Molti di quelli che io ho a lavorare qui non erano neanche nati. Molti ricordano quel periodo come il più bello perché c’era un contatto diretto tra giocatori e tifosi, era un rapporto molto intimo e oggi questo cordone è stato tagliato. A torto o ragione, non lo so. Tanti tifosi mi fermano e mi dicono dei particolari di cene che io non ricordo. A Roma ho giocato poco, sono stato più che altro in provincia, ma tante persone ancora oggi mi fermano o mi scrivono perché ho lasciato un bel ricordo. Da Avellino, da Pisa sono venuti qui e siamo stati un po’ insieme… spesso mi dicono che dovevo fare 40-50 presenze in Nazionale ma io gli rispondo che se non le ho fatte un motivo ci sarà. Io giocavo a pallone per divertirmi, senza troppi assilli e non avevo questa cattiveria dentro. Tanta gente ci mette un po’ per fare pace con il proprio vissuto, mentre io sto in pace con me stesso".

Lei giocava nell’Under-21 di Azeglio Vicini che sarebbe poi diventata la Nazionale Italiana negli anni successivi: qual è stata la sliding doors più importante della sua carriera?
"Sì, sicuramente. Anche perché molte cose le ho sapute dopo. Io volevo tornare alla Roma perché mi piaceva l’idea di giocare con la maglia giallorossa e fare una bella carriera. Quando ero al Pisa, un giorno venne Anconetani e mi disse ‘Lei deve andare alla Fiorentina, è l’ambiente giusto per lei. Me la vedo io!’ ma io gli risposi ‘Ma io sono in prestito qui, io vorrei tornare alla Roma’. Io guardavo anche tutto il contorno di quel possibile trasferimento, Firenze non è una provincia ma non è un città dove eri considerato un numero come a Roma. Questa cosa qua mi ha fatto sempre riflettere e forse lui aveva ragione, ma ho fatto una scelta. Mi sarei ritrovato a giocare con Baggio. L’U21 è stata una parentesi incredibile nella mia vita con gente fantastica come Giannini, Mancini, Vialli e Zenga".
Baldieri aveva un grande rapporto con Luca Vialli, sia in campo che fuori: ci racconta qualcosa del vostro legame?
"Io negli ultimi anni l’ho cercato dopo aver saputo della malattia e ci siamo sentiti per diverso tempo. Non potevi non volergli bene, era un ragazzo d’oro. In campo c’era feeling e lo stesso anche fuori, è una delle migliori persone che ho incontrato nella mia vita. Una volta a Livorno, lui era nella sua macchina e ascoltava una canzone: erano i Tears For Fears, gli dissi che non la conoscevo e lui mi regalò la musicassetta. Dovrei averla ancora da qualche parte, appena la trovo la metto in una cornice".
Pisa, Empoli, Avellino e Lecce: tutte piazze importanti, ma qual è il ricordo più bello tra tutte le esperienze appena elencate?
"Sono legato molto a Pisa, calcisticamente sono nato alla Roma ma lì ho mosso i primi passi. Ero un ragazzino quando sono andato lì e mi hanno trattato con i guanti bianchi. Sono stato bene ad Avellino, a Lecce… ma pure ad Empoli, che era molto più tranquillo e vivi senza assili. Completamente diverso da Roma. Non mi pento di nulla e delle scelte che ho fatto“.
Nel 1994 fece una tournée in Messico col Milan di Capello segnando 7 goal in 9 amichevoli, ma i rossoneri decisero di non inserirla in rosa per l’anno dopo nonostante i feed positivi da parte del mister: come mai?
"Io feci questa tournée e giocavo con Savicevic di punta. Dopo l’ultima partita Capello mi disse ‘Non firmare per nessuno che l’anno prossimo vieni da noi’ e gli io dissi ‘Va bene, volentieri’. L’unico intoppo era che dovevano vendere Marco Simone, che era un pupillo di Berlusconi. Era forte, ma uno di noi due era di troppo. Io quell’anno partii in ritiro con il Lecce e dopo una settimana mi venne la pubalgia".

Lei ha ha collaborato, fino a giugno 2006, con la FIGC in qualità di tecnico territoriale e vice allenatore delle nazionali giovanili italiane di calcio Under-16 e Under-17…
“Per sette anni, sono stato quattro anni al centro dell’Acqua Acetosa e il resto con le Under come vice. Nel centro a Roma mi sono divertito nonostante con i bambini non sia sempre semplice. Avevamo uno staff di tecnici, psicologi e professionisti eccellenti: noi 25 anni fa facevamo le cose che poi sono arrivate nei centri di allenamento ovunque. Un bel periodo. Una volta che mi sono trasferito in Puglia e un giorno mi è arrivato una lettera che mi diceva arrivederci e grazie. Io non volevo fare l’allenatore per non mettere in difficoltà la mia famiglia con i trasferimenti e tutto il resto“.
Oggi si parla molto dei giovani, secondo lei qual è il vero problema del calcio italiano?
Molti ragazzi trovano faticoso prendere la palla per andare a giocare. Quelli che hanno piacere nelle scuole calcio vengono dirottati ad un pensiero che non rientra nella gioia o nel piacere di giocare. Io volevo realizzare un progetto al mio paese dove avrei messo a disposizione dei campetti per i ragazzi che dopo la seduta con la scuola calcio volvevano continuare a giocare in libertà. Spesso si fanno delle cose liberamente che sono molto più utili delle esercitazioni ma non ce ne accorgiamo. C’è pure da dire che le società non investono tanto nei giovani: io e Giannini a 17 anni stavamo con la prima squadra, mi accompagnavano perché non avevo la patente e il preside della scuola era inferocito perché io il mercoledì avevo allenamento con i grandi. Lo voleva Liedholm in persona. Oggi non è più così. Al giovane non danno la possibilità di fare esperienze. Io a 19 anni avevo fatto un campionato e mezzo di Serie B ed ero titolare dell’U21. Ci vorrebbero investimenti veri, perché noi che lavoravamo nel settore giovanile prendevamo meno del segretario che stava in ufficio”.

C'è una grande discussione sul valore della Serie A di oggi e quella del passato: c'è davvero tutta questa differenza?
"Io credo che la tecnica calcistica è calata, oggi è molto più fisico che tecnico. Abbiamo perso i calciatori che sanno saltare l’uomo: all’epoca erano normali, oggi sembrano fenomeni. Anche i terzini che arrivano sul fondo arrivano spesso impreparati perché non sanno crossare e ritornano dietro o cercano un’altra soluzione. Il gioco è un poco cambiato, ma singolarmente i calciatori erano più tecnici“.
Anche gli ingaggi dei suoi anni non erano come quelli di oggi: si ricorda cosa ha fatto con il primo stipendio da calciatore?
"È una storia divertente. Quando andai a parlare con il presidente Anconetani, lui mi disse ‘Mi dica quando vuole’ e io risposi ‘È la prima volta che gioco tra i professionisti, faccia lei basta che mi dà la casa’. Lui insisteva ‘Mi dica una cifra…’ e io gli dissi ’35 milioni di lire’. Anconetani mi disse ‘No! Le gliene dò 45’. Non ci potevo credere. I personaggi come Anconetani mancano un po’ al calcio".
Si può dire che Paolo Baldieri ha vissuto due vite, una da calciatore e una ‘normale’.
"Sì, ma l’ho cercato proprio. Realizzarmi in qualcosa di nuovo mi affascinava. Quando giocavo mi riconoscevano mentre oggi ho una libertà che ho proprio cercato. Viaggio senza pensieri. Il lusso, per me, è potersi permettere di vivere con serenità e con tranquillità. Non voglio più nessun tipo di intrusioni nella mia vita che portino scompiglio".