Nevio Scala oggi: “Guardo poco calcio. Ho la mia azienda agricola, la vita di campagna è faticosa”

C’è un momento, nella vita di chi ha vissuto il calcio con l’anima, in cui il boato degli stadi lascia spazio al fruscio delle viti mosse dal vento. Nevio Scala, l’allenatore che trasformò il Parma in una favola europea, oggi a 77 anni coltiva la terra con la stessa passione con cui un tempo allenava i suoi uomini in campo. Il tecnico veneto portò gli emiliani dalla Serie B alle vittorie continentali e oggi, tra i filari della sua azienda agricola e le indicazioni sulla vendemmia appena finita, racconta come i valori di squadra, l’umiltà e la condivisione siano rimasti gli stessi: cambiano i campi, non lo spirito. A Fanpage.it Nevio Scala fa un viaggio sincero tra calcio e agricoltura, tra memoria e presente, dove la semplicità e la voglia di fare restano le chiavi di ogni successo.
Cosa fa oggi Nevio Scala?
"Mi godo la mia azienda agricola. Abbiamo messo in piedi una bellissima cantina, riceviamo spesso ospiti, e in questo periodo stiamo preparando le terre per le semine. La vita in campagna è faticosa, ma è anche molto soddisfacente: vedere crescere ciò che hai seminato è un’emozione vera".
Come nasce questa passione per la viticoltura? È qualcosa che aveva già dentro da tempo?
"Sì, viene da lontano. Mio padre aveva le viti, poi negli anni le ha estirpate per dedicarsi ad altre colture. Io mi ero allontanato dall’agricoltura, poi un giorno mio figlio — che lavorava all’università, nulla a che vedere con la campagna — mi propose di piantare un po’ di viti. Gli dissi: ‘Claudio, sono in pensione, non farmi lavorare!'. Ma in cinque minuti mi ha convinto. Da lì è cominciata questa nuova avventura, che oggi mi dà grandi soddisfazioni".

Si sente un po’ come se fosse tornato alle radici, anche nel senso affettivo e familiare?
"Assolutamente sì. Il calcio è stata una parentesi professionale, bellissima ma pur sempre una parentesi. L’agricoltura invece è il mio legame profondo con la terra e con la famiglia. Con i miei figli, mia nuora e i collaboratori condividiamo tutto: le decisioni, le semine, i piccoli problemi quotidiani. È un lavoro di squadra, proprio come nel calcio".
A proposito di calcio, cosa le ha insegnato che oggi applica nel lavoro nei campi?
"Mi ha insegnato il rispetto, la tolleranza, la passione. L’agricoltura, come il calcio, è condivisione. Serve ascolto, collaborazione e fiducia reciproca. E anche quando sbagli, l’importante è farlo insieme, per migliorare insieme".

Mister Scala, facciamo un passo indietro. I più giovani forse non lo sanno, ma lei, prima di essere un allenatore di successo, è stato calciatore e ha vinto con il Milan Scudetto, Coppa delle Coppe e Coppa dei Campioni…
"Bellissimi, anche se ormai lontani. Ero giovanissimo, ricordo ancora il debutto a 18 anni all’Olimpico contro la Roma. Fu un momento straordinario, una gioia enorme per la mia famiglia. Non avevo mai pensato di diventare calciatore, è successo quasi per caso, ma la passione e la forza fisica mi hanno aiutato. E sono stato anche fortunato: mai un infortunio serio".
Lei è stato protagonista di un episodio curioso ai Giochi del Mediterraneo del 1967, quando vinse il sorteggio con la Francia e decideste di condividere l’oro. Cosa ricorda di quel momento?
"Sì, è vero. Arrivammo in finale con la Francia, e alla fine si decise con la monetina. Ma ci sembrava ingiusto: avevamo giocato alla pari. Così, non ricordo bene da chi partì l’idea, decidemmo di condividere il primo posto. Tutti e due oro. È un ricordo bellissimo, anche perché in quel periodo conobbi la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie".
Arriviamo al Parma. Come nacque davvero quel gruppo straordinario?
"È nato un po’ per caso. Quando arrivai a Parma da Reggio Calabria trovai un gruppo di ragazzi straordinari. Insieme abbiamo costruito tutto, condividendo ogni cosa. Io dissi loro una frase il primo giorno: ‘Se ognuno accetta i propri limiti e quelli dei compagni, diventiamo una squadra vincente'. Su quella frase abbiamo costruito tutto. Non c’erano segreti, né invidie. Solo rispetto e amicizia. Ancora oggi ci vediamo spesso: tra poco molti di loro verranno nella mia cantina per una serata insieme. È la prova che quel legame non si è mai spezzato".

Prima arrivò la Coppa Italia, poi la Coppa delle Coppe… Wembley, Londra: è lì che quel Parma toccò il cielo con un dito?
"Pensi che dal mio paese partirono 54 persone in pullman per venire a Wembley. Quel Parma creava simpatia, emozione. Non solo a Parma, ma in tutta Italia. Lo sento ancora oggi: quella squadra ha trasmesso valori veri. Era un Parma irripetibile, lo dico con orgoglio ma anche con nostalgia".
Quel Parma poteva vincere lo Scudetto?
"Lo sfiorò lo Scudetto, ma non eravamo attrezzati. La Juventus era troppo più forte. Forse negli anni successivi, quando Parmalat aprì un po' i cordoni, si poteva fare, ma noi non avevamo le stesse qualità degli avversari".
Dopo Parma, arrivò la Germania e la Coppa Intercontinentale con il Borussia Dortmund.
"Sì, un’esperienza unica. Andai in Germania, vinsi la Coppa Intercontinentale, quella vera: una partita tra il campione d’Europa e quello del Sud America, a Tokyo. Era una formula romantica, oggi purtroppo sostituita da un torneo commerciale. Mi mancano quei tempi: oggi il ‘dio denaro' ha soffocato molti valori".

Scala ha vinto anche in Turchia e in Ucraina. Qual è il segreto per portare la mentalità vincente ovunque?
"Essere se stessi. Non vendere fumo. L’umiltà e la semplicità sono le ali per le grandi imprese. Vale in Italia come in Ucraina. Ai miei giocatori ho sempre detto: ‘Accettate i vostri limiti e quelli degli altri: solo così diventate squadra'. In Russia e in Ucraina ho vissuto esperienze umane incredibili, anche fuori dal campo. L’agricoltura, la gente, i paesaggi: mi hanno insegnato molto più di quanto potessi immaginare. Queste esperienze mi hanno offerto anche ricchezze culturali: pensi che ho visitato il Cremlino e monasteri russi che non sono spesso accessibili".
Lei è stato anche presidente del Parma. Oggi il calcio è cambiato molto, soprattutto nella comunicazione. Cosa pensa delle figure dirigenziali e degli allenatori moderni?
"Credo che oggi conti troppo la comunicazione e troppo poco la sostanza. Io da presidente avevo chiesto di occuparmi solo della parte tecnica, senza interferenze. Il primo anno andò benissimo, poi quando le cose andarono meno bene, iniziarono i problemi. Mi accorsi che gli accordi non venivano più rispettati e me ne andai. È un peccato, ma oggi il calcio spesso è governato da interessi, non da passione. E questo lo si percepisce".

Nevio Scala oggi segue ancora il calcio?
"Sì, ma con un po’ di distacco. Guardo qualche partita, ma non provo più le emozioni di una volta. Mi ha emozionato Mancini all’Europeo, per il resto seguo più per curiosità che per passione".
C’è un allenatore qualche allenatore che le piace in modo particolare?
"Julio Velasco. È una persona straordinaria. Quando parla alle sue ragazze della Nazionale di volley trasmette valori, energia, entusiasmo. È un vero allenatore, nel senso più profondo della parola".