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Italia campione d’Europa: la vittoria più incredibile della meravigliosa estate azzurra

Roberto Mancini guida i suoi uomini alla conquista degli Europei, la vittoria che segna la rinascita del nostro calcio e anche l’inizio di un’estate sportiva mai così ricca di vittorie e ori.
A cura di Jvan Sica
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L’11 giugno 2021 era una data importante per il nostro sport, anche se non pensavamo che diventasse uno spartiacque capace di aprire la porta per l’estate più vincente della nostra storia. Quel giorno l’Italia di Roberto Mancini affrontava la Turchia per la prima partita degli Europei itineranti. Giocavamo a Roma, così come tutte le partite del girone e l’atmosfera era di attesa e ansia. Non temevamo troppo la pressione ambientale, anche perché lo stadio era pieno solo in parte per la questione Covid e nemmeno il peso di dover aprire la manifestazione, eravamo invece poco consapevoli della nostra forza rispetto a quella altrui e già la Turchia poteva far paura.

Almeno questo è quello che credevamo noi all’esterno del guscio di acciaio che Mancini era riuscito a costruire in tre anni di lavoro. Vero che sono stati tre anni di non sconfitte, con l’ultima datata 10 settembre 2018 a Lisbona contro il Portogallo, ma era evidente che il percorso fosse stato fin troppo morbido prima dell’esame europeo. In realtà avevamo già avuto una piccola controprova della nostra potenziale forza andando a vincere ad Amsterdam contro l’Olanda con gol di Barella. Per alcuni era il primo marchio di una risalita dal baratro, per altri invece un mezzo colpo di fortuna contro una squadra che era in ricostruzione anche più di noi. Baratro sì, perché l’Italia del calcio, la gloriosa Italia capace di vincere quattro Mondiali e un Europeo, non si era qualificata ai Mondiali di Russia 2018, battuta nel playoff dalla Svezia senza Ibrahimovic. Quella stessa Italia, in pratica con gli stessi giocatori, stava quindi per affrontare la Turchia nella prima partita degli Europei.

Prima abbiamo scritto di percezione e consapevolezze diverse tra chi era dentro il gruppo Mancini e chi ne era fuori. Roberto Mancini nei tre anni di cui sopra ha saputo fare due cose fondamentali per una squadra al grado zero com’era l’Italia post-Ventura. Da una parte scegliere gli uomini, determinati tipi di uomini che per carattere e atteggiamento tattico fossero giusti per la sua Nazionale e poi modulare con sue idee originali quelle più interessanti degli ultimi cinque anni di serie A, ovvero quelle del gioco di Sarri e Gasperini, insieme alla gestione del gruppo portato avanti da Allegri. Mancini, grazie anche al lavoro prezioso di Evani, Vialli e degli altri assistenti ha messo tutto nel calderone e mescolato abbondantemente per cercare di avere un risultato finale al limite del miracoloso, ovvero tirare fuori giocatori e una squadra migliore di quello che appare durante un intero anno di calcio.

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La Turchia quindi faceva paura più a noi da fuori che al gruppo squadra e c’era un’altra partita, del tutto non considerata, che aveva dato nuova linfa. Lo dirà Bonucci alla fine degli Europei. L’amichevole contro la Repubblica Ceca a Bologna di qualche giorno prima aveva dato l’idea che i meccanismi oliati da Mancini fossero davvero perfetti e che di fronte a essi anche squadre ottime, come quella di Soucek e Barak, trovavano molte difficoltà. Grazie a queste nuove consapevolezze infatti, l’Italia affronta la Turchia praticamente annientandola, subissandola di tiri in porta e battendola per 3-0. Chi ha visto, ha visto un’Italia che andava al triplo e non era solo un fatto di preparazione fisica, ma dipendeva molto dal fatto che i movimenti di corpi e pallone negli spazi erano ben calcolati e rapidi.

Già la seconda partita del girone contro la Svizzera faceva meno impressione, ma questo non ha fatto calare l’attenzione. Vinciamo di nuovo per 3-0, scopriamo un Locatelli a livelli assoluti e non sembriamo avere pecche. Vinciamo in serenità anche la terza partita contro il Galles per 1-0, rientra Verratti, Pessina segna e si scopre un fattore, dopo che è stato convocato per il forfait di Sensi, sono tutti in una forma spaziale. Ci iniziamo a chiedere: “Ma vuoi vedere che possiamo farcela?” Mancini, da vero stratega del pensiero dei suoi uomini, oltre che grande miscelatore tattico, lo dice chiaramente: “La partita più dura sarà la prossima contro l’Austria”.

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Nell’Europeo itinerante infatti siamo costretti a lasciare Roma, una sorta di nido dove tutto ci è parso bello e accogliente per andare a Wembley a sfidare una squadra tosta, con un campione assoluto come Alaba, un campione che noi non abbiamo.
E contro l’Austria è davvero una partita difficile, la manovra che ci ha sostenuto è lenta, scialba, imprecisa. Loro prima assorbono i colpi, poi iniziano a reagire, Alaba gioca sempre un metro più su ed è sempre più pericoloso. Un suo colpo di testa diventa un assist per Arnautovic che segna. Qualificarsi adesso diventa quasi impossibile, perché l’Italia non ha sprazzi. Il VAR ferma le operazioni e fa annullare il gol per fuorigioco. Qualcosa cambia nell’atteggiamento. In realtà cambia anche un’altra cosa. Mancini mette dentro Pessina e Chiesa e i due hanno un passo che gli austriaci stanchi non reggono. Segnano proprio loro per il 2-1 finale. Sono due gol di pura forza ed energia, quella che era mancata fino a quel momento e anche quella che non avevano più gli austriaci esausti.

Siamo contenti, sollevati, respiriamo avrebbe detto Pizzul, ma iniziamo a pensare che con i quarti si alza troppo il livello delle avversarie per la nostra Nazionale. È stato bello. A Monaco di Baviera affrontiamo l’avversario sulla carta più difficile, perché sulla carta è la squadra numero 1 del Ranking FIFA. Ancora una volta ci sorprendiamo quasi da soli, perché attacchiamo il Belgio e lo affondiamo con un due gol meravigliosi di Barella e Insigne, finalmente a segno con il tiraggir. Il calciatore del Napoli insieme a Jorginho e Spinazzola giocano una partita strepitosa e reggiamo bene anche dopo il rigore segnato da Lukaku. Soffriamo solo gli ultimi minuti, anche perché salta proprio Spinazzola infortunatosi seriamente. Andiamo in semifinale e giochiamo anche per lui da quel momento in avanti.
La Final four si gioca a Wembley e c’è l’Inghilterra tra le quattro. Il 1966 appare all’orizzonte.

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Ma non ci pensiamo perché prima bisogna giocare contro la Spagna, giovanissima e anche libera, poggiata completamente sul suo gioco senza freni né limitazioni. O tutto o niente. Contro di noi sembra tutto perché arrivano un paio di volte in porta e ci capiamo veramente poco. Giochiamo schiacciati nella nostra metà campo, non la vediamo letteralmente mai per lunghe fasi del match. Giochiamo da Italia, quella che una volta era la squadra della sofferenza totale e segniamo da Italia, con tre passaggi e la palla che arriva a Chiesa per il suo tiro a giro. Entra una centravanti nella Spagna che ci fa subito gol, Morata, e per fortuna anche questa volta reggiamo arrivando ai rigori.

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Scopriamo la devastante presenza scenica di Donnarumma e la fantascientifica freddezza di Jorginho. Siamo in finale agli Europei. Chi ci pensava un mese o era già matto o mente. Ma in finale viene il bello e torna il 1966. L’unico trofeo vinto dalla Nazionale inglese è il Mondiale casalingo del 1966. Ora siamo noi in finale contro di loro a Wembley e dopo due minuti sono già in vantaggio con Shaw. Da quel momento non giochiamo la nostra partita migliore, non siamo fluidi come a inizio Europeo e sentiamo il fiato sul collo dello stadio più importante al mondo. Eppure reagiamo, non concedendo altro a un’Inghilterra che un po’ si accontenta del vantaggio, conscia che un altro gol ce lo avrebbe comunque fatto, mentre noi tentiamo senza pungere.

Fino al 67’ però, quando su un calcio d’angolo Cristante entra forte sul primo palo, Verratti prende il palo lanciandosi in tuffo per anticipare il difensore e Bonucci mette in porta. È un gol in cui ci sono tante cose: prima di tutto la capacità manciniana di sfruttare i punti di forza di tutti gli uomini della rosa. Nella finale degli Europei sono stati importanti gli undici titolari, ma mai come in una nostra finale precedente i cambi con i vari Cristante, Bernardeschi, Berardi e Locatelli. C’è poi la forza di alcuni uomini come Verratti e Bonucci che sono cresciuti di condizione e hanno sostenuto la squadra dopo che altri calciatori avevano portato avanti l’Italia nella prima fase e c’era anche la nuova consapevolezza di un gruppo capaci di andare oltre le difficoltà, dopo che nella prima fase degli Europei tutto era corso velocemente in discesa.

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Quando andiamo ai rigori una parte di chi è a casa dice che non avremmo dovuto avere paura, anche dopo l’errore di Belotti. Donnarumma para i rigori di Sancho e Saka e non fa male nemmeno l’errore che nessuno si aspettava, quello di Jorginho. Abbiamo vinto gli Europei di calcio dopo non essere andati ai Mondiali di Russia 2018 e dopo 53 anni dall’ultima volta. L’11 luglio 2021, quando è successo, ci sembrava la storia più incredibile e bella del nostro anno sportivo, insieme alla finale di Wimbledon di Berrettini persa proprio quella domenica contro Djokovic. Scopriremo invece che quel giorno l’Italia del calcio rompe un vaso di meraviglie che non vorremmo finissero mai anche nel 2022.

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