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Guerra in Ucraina

Il calciatore ucraino ripudiato dalla sua stessa nazione: gioca nella squadra di Putin

La storia del difensore, Yaroslav Rakitskiy, nato nella zona del Donbass entra nel corredo accessorio della crisi scoppiata nel 2013 e deflagrata nell’attacco su vasta scala dell’esercito di Putin. In patria è stato considerato un “traditore”.
A cura di Maurizio De Santis
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Yaroslav Rakitskiy. Il trasferimento dallo Shakhtar Donetsk allo Zenit ha provocato la sua esclusione dalla nazionale ucraina.
Yaroslav Rakitskiy. Il trasferimento dallo Shakhtar Donetsk allo Zenit ha provocato la sua esclusione dalla nazionale ucraina.
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Yaroslav Rakitskiy vive una situazione surreale e drammatica, da calciatore ripudiato. In Ucraina è considerato un traditore da tempo. Lo Zenit, squadra di San Pietroburgo nella quale gioca nel 2019, giovedì scorso – nel giorno dell'invasione russa – ha scelto in maniera sospetta di non schierarlo in Europa League contro il Betis. Perché? Con ogni probabilità per un post su Instagram in favore della patria in armi. "C'è troppa politica nel calcio", disse quando capì che non avrebbe più indossato la maglia della nazionale del suo Paese e criticò il ct di allora, Shevchenko, che a suo dire lo aveva escluso per essere passato dall'altra parte della barricata.

La storia del difensore nato nella zona del Donbass entra nel corredo accessorio della crisi scoppiata nel 2013 e deflagrata nell'attacco su vasta scala dell'esercito di Putin. Nemmeno la rosa tatuata sul braccio sinistro (simbolo di Donetsk, club nel quale ha giocato e vinto molto), mostrata con orgoglio, gli è servita per conservare intatta la fiducia: l'aveva guadagnata sul campo conquistando 8 titoli nazionali con lo Shakhtar, vivendo una storica qualificazione ai quarti di Champions (2011) e le semifinali di Europa League (2016). Nel 2013 faceva parte dell'Ucraina che sfiorò la qualificazione ai Mondiali di Brasile 2014 arrendendosi alla doppietta di Sakho che mandò in visibilio la Francia a Saint-Denis.

Sono gli anni in cui tutto cambia, la storia prende un corso diverso e s'incanala verso l'escalation della crisi odierna. Gli anni in cui Rakitskiy inizia a sentirsi straniero in patria nonostante provi ad aggrapparsi alle sue radici: "Questa rosa è il simbolo di Donbass e Donetsk. Questa rosa e questa bussola mi aiuteranno a trovare la strada di casa". Ma non gli sono bastate né immaginava che l'evoluzione della situazione divenisse così ingovernabile.

Nel 2014, dopo la fuga in Russia dell'ex presidente ucraino Yanukovich e lo spostamento dell'asse verso l'Unione Europea, da Mosca arriva l'ordine di annessione della Crimea. La nascita dei movimenti filo-separatisti nella zona orientale dell'Ucraina, tra Donetsk e Luhansk, accende la miccia dell'indipendenza in quella fetta di territorio più vicina all'ex Urss, costantemente incendiata dal conflitto armato.

Lo Shakhtar è costretto a emigrare, andrà in esilio itinerante attraverso gli stadi del Paese. A Rakitskiy succede di tutto: viene tacciato di sostenere i separatisti e quel clima avvelenato lo porterà al centro delle critiche per non aver cantato l'inno nazionale durante un match dell'Ucraina. Ha gli occhi addosso e nel 2019 si consuma la rottura definitiva: passa allo Zenit, un trasferimento che viene preso malissimo.

L'opinione pubblica si schiera apertamente e mette pressione al commissario tecnico, Shevchenko. La maggior parte dei tifosi ucraini non vuole più Rakitskiy in maglia gialloblù. E lui si lascia sfuggire una frase amara: "Vorrei essere convocato ma il calcio è diventato troppo politico. I giocatori ora sono selezionati con la paura di sbagliare. Lascio la nazionale. È stato un onore per me difendere la nazionale del mio paese, un onore vincere e dimostrare la forza degli ucraini".  

Senza pace. Non c'è in quella bretella di territorio, non può esserci nel cuore di Rakitskiy e dei suoi connazionali, di coloro che si sentono ucraini nonostante le divisioni profonde aumentate nel corso degli anni. Ma quando ha saputo della guerra non ha avuto alcun dubbio, non ha dimenticato chi è, da dove viene. Ne ha parlato pubblicamente, postando sui social la bandiera dell'Ucraina e un messaggio d'incoraggiamento. Poco dopo è arrivata l'esclusione "sospetta" da parte dello Zenit. E lui è tornato di nuovo nel limbo.

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