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Domenico Di Carlo: “Acerbi con me non giocava mai. Un giorno ci siamo parlati e ha spiccato il volo”

Dal Vicenza dei miracoli alla nuova avventura a Gubbio, Mimmo Di Carlo racconta a Fanpage.it la sua storia di calciatore, allenatore e uomo: un viaggio tra passione, fatica e la voglia di costruire qualcosa che resti, dentro e fuori dal campo.
A cura di Vito Lamorte
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Con la calma e la lucidità che lo hanno sempre contraddistinto, Domenico Di Carlo parla di calcio come di una missione fatta di lavoro, equilibrio e valori. Oggi siede sulla panchina del Gubbio, dove guida una squadra giovane e ambiziosa, ma nella sua voce c’è ancora l’entusiasmo di chi ama il campo più di ogni altra cosa. Dal Vicenza dei miracoli — quello che arrivò a un passo dalla finale di Coppa delle Coppe — alla Serie A, passando per le difficoltà e le soddisfazioni di una lunga carriera in panchina, “Mimmo” Di Carlo si racconta con sincerità: tra ricordi, riflessioni e una certezza che non cambia mai — il calcio è prima di tutto passione e lavoro quotidiano. Inevitabile un passaggio sul calcio ricevuto da Silvio Baldini in Parma-Catania e la riconciliazione dopo 17 anni.

Mister Di Carlo racconta a Fanpage.it la sua storia di calciatore, allenatore e uomo: un viaggio tra passione, fatica e la voglia di costruire qualcosa che resti, dentro e fuori dal campo.

Mister Di Carlo, com'è iniziata questa stagione con il Gubbio?
Diciamo bene. I risultati stanno arrivando, la squadra deve migliorare perché ci sono ancora diversi giocatori non al cento per cento. Qualcuno è arrivato tardi, altri sono reduci da infortuni. Serve pazienza, soprattutto con i giovani che stiamo facendo giocare".

A proposito di giovani, lei che rapporto ha con i ragazzi e con il ‘minutaggio'?
"Per me i giovani devono giocare, con o senza minutaggio. Chiaramente quelli bravi troverebbero spazio in tutti i casi ma non credo che senza contributi molti ragazzi giocherebbero. Oggi molte squadre vivono anche di quello, perché senza quei contributi economici tante società di Serie C farebbero fatica a sopravvivere.

Cosa è cambiato rispetto a quando era lei il giovane che si affacciava negli spogliatoi dei grandi?
"È cambiato il mondo. I ragazzi hanno più distrazioni, meno fame forse, ma anche tante pressioni. Io credo nei giovani: bisogna insegnare, avere pazienza e fiducia. Loro ti danno tutto, basta saperli aspettare. Ti faccio un esempio: Francesco Acerbi. Al Chievo non ha giocato per mesi: l'ho chiamato da parte, ci siamo parlati, gli ho detto di lavorare in maniera diversa e di andare in campo con più ferocia, di essere, che aveva delle qualità ma in allenamento non le esprimeva. La seconda parte di stagione è diventato titolare e ha spiccato il volo. L'anno dopo era al Milan".

Di Carlo con la maglia del Vicenza.
Di Carlo con la maglia del Vicenza.

Lei è stato un calciatore prima di essere allenatore. Cosa cambia tra campo e panchina?
"Cambiano le dinamiche. Prima un allenatore giovane faceva fatica a trovare spazio, oggi è diverso. Ma alla fine la sostanza non cambia: bisogna allenare, costruire, lavorare. Mi piace studiare, aggiornarmi, restare curioso. L’esperienza la fai solo sul campo, con le partite e con i rapporti umani".

Torniamo un po’ indietro: i primi ricordi di calcio?
"Cassino, il mio quartiere. Giocavamo in strada, tra barattoli e macchine che passavano. Quando ne arrivava una, ci si fermava. Poi di nuovo a giocare. Da lì sono andato nella squadra di mio fratello, la Polisportiva Policassino, e poi in prima squadra con il Cassino. Giocare per la squadra della tua città è una cosa speciale, un orgoglio enorme".

Lei è stato protagonista di uno dei Vicenza più belli della storia. Che ricordi ha di quegli anni?
"Meravigliosi. Eravamo un gruppo partito dalla Serie C con Olivieri e arrivato fino alle Coppe europee con Guidolin. C’era un’alchimia incredibile: società seria, gruppo unito, tifoseria caldissima. Tutti si sentivano parte del progetto. Vincere una Coppa Italia con una provinciale e arrivare in semifinale di Coppa delle Coppe… non credo succederà presto di nuovo".

La partita col Chelsea resta il punto più alto?
"Sì, e anche il più doloroso. Non siamo stati inferiori in nessuna delle due gare, ma l’esperienza loro ha fatto la differenza. Il VAR ci avrebbe aiutato, ne sono sicuro. Però quella cavalcata ci ha resi immortali. Giocatori partiti dalla C arrivati a sfidare Zola, Vialli, Hughes… roba da pelle d’oca".

Di Carlo in campo contro Baresi.
Di Carlo in campo contro Baresi.

Dopo la carriera da giocatore è tornato a Vicenza da allenatore, vincendo un campionato.
"Sì, era un sogno. Ci avevano chiesto la Serie B in due anni, l’abbiamo centrata in uno solo. Purtroppo il Covid ci ha tolto la gioia di festeggiare con i tifosi. Poi la B senza pubblico è stata dura. Il terzo anno non è partito bene e la società ha deciso di cambiare. Ma io resto tifoso, sempre".

Come si vive un esonero?
"Male, perché è una sconfitta di tutti. Ma bisogna riflettere, capire se hai lavorato come volevi. A volte non dipende neanche solo dai risultati: ci sono mille motivi, dall’ambiente alla gestione. Io dico sempre che servirebbe più pazienza, ma oggi nel calcio si corre troppo".

La sfida più dura della Serie A?
"Tutte. Ma la Sampdoria resta il mio più grande rammarico. Poteva essere un trampolino. Stavamo facendo bene, poi è successo di tutto a livello societario. Peccato, perché era un progetto che poteva decollare".

Il celebre calcio di Baldini a Di Carlo.
Il celebre calcio di Baldini a Di Carlo.

Torniamo al Gubbio: che stagione si aspetta?
"Abbiamo cambiato sedici, diciassette giocatori, è una squadra nuova. Abbiamo avuto un buon inizio, qualche vittoria anche sofferta. Ma so che il percorso è lungo: a novembre saremo sicuramente una squadra migliore. Ho un gruppo giusto, un ambiente sano e tanta voglia di lavorare. Il progetto è quello di valorizzare i giovani e costruire una squadra tignosa, che sappia giocarsela con tutti. Gli obiettivi? Difficile dirlo adesso. L’importante è crescere e creare una mentalità che duri nel tempo".

Ultima curiosità: uno degli episodi più controversi della sua carriera è il calcio ricevuto da Baldini in Parma-Catania. A distanza di 17 anni vi siete ritrovati e abbracciati. Ma si può sapere il motivo di quella situazione?
"L'episodio fu frutto delle tensioni della partita, e nessuno dei due fu contento dell'accaduto. Il tempo ha permesso di capire ad entrambi che avevamo testa e intelligenza per andare oltre. Il confronto e il chiarimento sono stati importanti, e ho grande rispetto per Baldini, che resta un'icona nel mondo degli allenatori italiani per come è fatto e per il suo modo di essere allenatore".

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