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Mavericks, Pelicans, Blazers e… Dennis Schroder: i grandi sconfitti della free-agency NBA

Non ci sono solo super-estensioni e trade: l’estate era anche il banco di prova di tante franchigie chiamate finalmente a dare una svolta e assecondare il talento delle rispettive superstar. Tra Dallas, New Orleans e Portland è stata una gara al ribasso finora. Peggio di loro ha fatto solo un singolo giocatore però.
A cura di Luca Mazzella
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Nell'NBA che ha colto al balzo l'opportunità di vedere tante squadre rinforzarsi con l'inizio della free-agency e nuove, o forse vecchie ma rinnovate corazzate attivissime sul mercato (vedi Los Angeles Lakers e Brooklyn Nets, in una sfida a distanza che ci accompagnerà per tutta la stagione), non è tutto oro quel che luccica. Tante franchigie, chiamate al salto di qualità per assecondare il talento delle proprie splendenti superstar, hanno (finora) toppato l'appuntamento. Tra delusione e disappunto di giovani fenomeni in ascesa o conclamate stelle giunte ormai al bivio decisivo, per motivi anagrafici, della carriera. Tra tutte le squadre, il curioso caso di un giocatore sulla cui scelta si discuterà per anni e anni. Scopriamo le delusioni di questo mercato NBA.

Dallas Mavericks

I primi anni in NBA di Luka Doncic hanno mostrato in modo abbastanza inequivocabile che lo sloveno è l’uomo giusto su cui puntare in Texas per arrivare all’anello, ma anche che il roster della squadra deve saper salire di pari livello col suo basket e soprattutto offrire il giusto contorno tecnico per esaltarne le caratteristiche. Kyle Lowry e Lonzo Ball su tutti avrebbero rappresentato il tipo di tassello da aggiungere difensivamente e come supporto nel playmaking al 77, ma entrambi non sono mai stati realmente vicini ai Mavs. Che nel frattempo si sono accontentati dell’avvicendamento in panchina tra Carlisle e Kidd, questo sì per accontentare il proprio giovane fenomeno. Da capire quanti e quali benefici ne deriveranno, ma il roster continua a essere lacunoso e la storia insegna che per giocatori in rapida ascesa come Doncic il bivio tra l’essere bollati come perdenti o esaltati come vincenti arriva molto prima.

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Portland Trail Blazers

Dame Lillard chiede aiuto, l’aiuto non arriva. È molto semplice. Il grido di disperazione del numero 0, che non ha mai espressamente forzato una trade ma ha invece fatto capire in modo inequivocabile che il roster, così come assortito, non sarebbe stato sufficiente per ambire sul serio a lottare per il titolo, si è tramutato finora in onesti mestieranti come Cody Zeller, Tony Snell, e Ben McLemore, più il discreto Larry Nance Jr aggiunto pochi giorni fa. La firma di Powell resta importante ma l’impressione è che nel complesso, considerati anche i partenti (Carmelo Anthony e Enes Kanter) il livello sia rimasto simile a quello dell’anno scorso. Cambiato anche in questo caso il coach (con Chauncey Billups che non era il primo nella lista di Lillard), nell’aria sembra esserci aria di rivoluzione. Come e quando lo deciderà Dame, ma queste non sono le addizioni di chi vuole offrire alla superstar della squadra un buon motivo per restare.

New Orleans Pelicans

Avvicinandovi già solo al loro nome sentirete il ticchettio dell’orologio di Zion Williamson, vicino al gong. Come nel caso di Doncic, disporre di un talento del genere e non metterlo nelle condizioni tecniche ideali per esprimersi (in questo caso addirittura il giocatore è stato ostacolato nel suo sviluppo nei primi 2 anni) è un peccato e alla lunga porta solo a una cosa: la richiesta di trade. La necessità di una point-guard era evidente, lasciato andare Lonzo (ideale peraltro per Zion). Chris Paul è stato corteggiato senza successo, Kyle Lowry marginalmente avvicinato, è arrivato uno scorer di buon livello come Devonte’ Graham ma ben diverso da Ball e anche al costo di una prima scelta, data agli Hornets per averlo via sign and trade. Valanciunas è decisamente meglio di Adams e sa giocare anche lontano dal ferro, ma per il resto se tutto ciò doveva motivare Williamson a rinnovare la sua fiducia alla dirigenza, siamo lontanissimi. Unica mossa di livello: inserire Mike D’Antoni nello staff tecnico. Se il Baffo avrà un minimo di carta bianca, tutte le mancate mosse sul mercato verrebbero superate da spaziature e spettacolo.

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Dennis Schroder

No, non è una squadra. Eppure a un certo punto credeva di esserlo, nel chiedere qualcosa come 100 milioni in quattro anni per rifirmare ai Lakers. Richiesta da uomo-franchigia appunto, educatamente declinata dai gialloviola che si sono comunque spinti fino a un quadriennale da 84 milioni. Rifiuta L.A., non arrivano le altre squadre in cerca di point-guard, e alla fine il playmaker tedesco si è accontentato di 5.9 milioni per un annuale con i Boston Celtics. Pochi mesi fa rischiava di assicurarsene 78 in più e la sicurezza di restare a libro paga del californiani fino al 2026. Il 2021/22 di Dennis invece comincia da precario e con l’incertezza di cosa succederà tra 12 mesi. Chi si accontenta gode, lui non si è accontentato. E ora ne paga conseguenze di cui si parlerà per anni.

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