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L’ultima telefonata ad Alvaro Vitali e quell’intervista che non ci sarà: “Ci sentiamo domani”

“Ci sentiamo domani”: le ultime parole di Alvaro Vitali al giornalista che non riuscì mai a intervistarlo. Una telefonata, una voce sofferente e il rimorso eterno di un’occasione perduta per sempre.
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Lunedì mattina, il telefono squilla come sempre. Dall'altra parte, la voce non è la solita, non è quella che ricordavo in una conversazione precedente, di qualche tempo prima. È una voce più sofferta. Alvaro Vitali, l'uomo che per generazioni è stato Pierino, quello scandalo vivente della commedia sexy all'italiana, non sembra lui. È una stanchezza che va oltre la normale fatica, un'ombra che attraversa il telefono e arriva dritta al cuore. "Sì, la chiamerò perché non è il momento adesso", dice con un filo di voce che sembra spezzarsi a ogni sillaba. "Magari domani o dopodomani, va bene?". E io, dall'altra parte, annuisco comprensivo.

Quel "domani" non è mai arrivato. Martedì 24 giugno 2025, nel tardo pomeriggio, Alvaro Vitali è morto a Roma all'età di 75 anni. La notizia arriva come un pugno nello stomaco, non solo per il mondo dello spettacolo che perde un'icona, ma per chi, come te, resta con il telefono in mano e la sensazione di aver perso qualcosa di irrecuperabile. Quella voce stanca, quella richiesta di rinviare: ora tutto assume un significato diverso. L'attore era stato ricoverato due settimane fa per una broncopolmonite recidiva ma aveva firmato per tornare a casa.

La storia che non racconterò mai

L'intervista che volevo fare non era una delle tante. Alvaro Vitali, negli ultimi tempi, era tornato al centro della cronaca rosa per la fine della sua storia d'amore con Stefania Corona, con cui aveva condiviso 27 anni di vita. Proprio poche ore prima della sua morte, l'ex moglie era apparsa in tv a La Volta Buona per confermare la loro rottura e leggere una struggente lettera d'amore che lui le aveva inviato. Eppure, io lo avevo intervistato su Fanpage. E rileggendola ora, ogni parola assume il peso di un testamento. "È come quando non ti va di fare niente, solo ancora più forte", aveva detto parlando della depressione che lo aveva colpito. "Mi ha aiutato tanto mia moglie Stefania e a lei devo tutto." Parole che ora echeggiano tragiche, pronunciate da un uomo che stava perdendo proprio la persona che definiva la sua salvezza.

C'era anche altro che avrei voluto sapere. Avrei voluto indagare quella solitudine dell'emarginazione, quel vuoto che si crea attorno a chi diventa invisibile. Nella sua ultima intervista mi aveva confessato con amarezza: "Non mi chiamano più perché pensano che io sia solo Pierino." Perfino i vecchi compagni di set lo avevano dimenticato: "La Fenech è stata a Roma, è stata al ristorante di Lino Banfi e non m'hanno chiamato. Avevamo l'occasione di rifare il trio."

Eppure Alvaro Vitali era stato molto più di un attore: era stato lo specchio sboccato di una società che amava la prurigine, il simbolo di un'Italia che rideva dei propri vizi purché fossero travestiti da farsa. Finché era tutto una risata, finché restava nel recinto sicuro della commedia, nessuno si scandalizzava. La trasgressione era accettabile se condita dall'ironia, l'osceno diventava digeribile se trasformato in barzelletta. Quella società che Vitali rappresentava non se n'è mai davvero andata, è solo diventata ipocrita. Continua ad amare la prurigine, ma preferisce consumarla in privato, sui social, nelle chat, nei reality show. La differenza è che oggi non ammette più di ridere di quelle barzellette, si vergogna di quel piacere colpevole che un tempo confessava apertamente.

L'amaro che resta

Ora che Alvaro Vitali non c'è più, quella telefonata di lunedì mi lascia con l'amaro in bocca. Il giornalismo mi ha insegnato che le storie vanno colte al momento giusto, che bisogna essere pronti, sempre. Ma mi ha insegnato anche che siamo umani, che dietro ogni intervista c'è una persona, e che a volte quella persona ha semplicemente bisogno di un giorno in più. E in quel giorno in più, Alvaro Vitali se n'è andato portando con sé le sue verità, i suoi dolori, le sue speranze. E io rimango con la lezione più dura: che non sempre c'è un domani per le storie che vogliamo raccontare, e che il silenzio, a volte, è l'unica testimonianza che ci rimane di una vita che si spegne. L'intervista che non ho mai fatto diventa, paradossalmente, la storia più vera che potrei mai scrivere su di lui: quella di un uomo che ha chiesto solamente un giorno in più e quella di un giornalista, che purtroppo sa che quel giorno non arriverà mai.

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Gennaro Marco Duello (1983) è un giornalista professionista. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Lavora a Fanpage.it dal 2011. Ha esordito nella narrativa nel 2022 con il romanzo Un male purissimo (Rogiosi). California Milk Bar - La voragine di Secondigliano (Rogiosi, 2023) è il suo secondo romanzo.
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