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Mauro Serio: “Solletico finì per colpa dei Pokemon. La tv educativa è morta, ora tutto è scaricato su scuola e famiglie”

Intervista a Mauro Serio, icona della tv dei ragazzi degli anni novanta: “Sono orgoglioso di aver lasciato il segno in diverse generazioni, ma dopo Solletico fui messo in disparte. L’atteggiamento tipico degli italiani è quello di inserirti in una casella e di non toglierti più da lì”.
A cura di Massimo Falcioni
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Chi non solletica con noi, non si diverte. Un motto che ha accompagnato una generazione, il marchio identificativo di un programma che per sei anni riempì i pomeriggi di Rai 1, quando la tv per i ragazzi rappresentava ancora una delle colonne portanti dei palinsesti. E Mauro Serio di quel “Solletico” fu simbolo incontrastato, volto riconoscibile e tutt’oggi riconosciuto da quei bambini che nel frattempo sono diventati adulti. “E’ bello sapere di essere stato il riferimento per l’ultima generazione che ha potuto vivere quella televisione”, rivela il diretto interessato a Fanpage.it. “A trent’anni di distanza spesso succede di ritrovarmi a lavorare con attori e registi che all’epoca erano piccoli e mi guardavano. E’ una situazione carina, perché vuol dire che ho lasciato ricordi affettuosi in tanta gente”.

Tarantino di nascita, ma trasferitosi presto a Trieste, Serio si avvicinò al teatro nell’ultimo anno di Istituto Tecnico Professionale: “La scelta dell’indirizzo fu più dettata da ciò che avrebbero fatto i miei migliori amici, piuttosto che dalle mie reali attitudini. Anzi, in corso d’opera mi accorsi che prediligevo le materie letterarie e le lingue. Ma fu comunque un percorso utile”.

A quel punto si iscrisse ad un corso di mimo, giocoleria e clownerie e cominciarono gli spettacoli: “Un amico mi presentò ad un regista che mi propose di aderire ad un progetto. I primi passi furono nella commedia dell’arte e in alcune radio private. In seguito arrivò anche l’approdo al Teatro Stabile di Trieste”.

A vent’anni decise però di spostarsi a Roma.

Sì, una volta risolta la questione del servizio militare mi stabilii nella Capitale e iniziai a studiare danza classica, danza moderna e canto. L’Accademia non potevo frequentarla, era troppo costosa per le mie tasche.

A teatro fu diretto da grandi registi.

Lavorai con Gino Landi, Giorgio Albertazzi e Mauro Bolognini, solo per citarne alcuni. Furono molte le esperienze a cui presi parte, tra cui ‘La locandiera’ al fianco di Sergio Rubini e Massimo Venturiello. Con Luca Barbareschi, invece, diedi vita ad un lungo sodalizio artistico.

La televisione come arrivò?

Un giorno appresi che nei vecchi studi della Videa stavano effettuando i provini per ‘Amici mostri’, un nuovo programma per bambini di Telemontecarlo. Mi presero per impersonare il ruolo di Inquinator, il cattivo della banda. Con me c’era una giovanissima Alessia Marcuzzi. Due anni dopo nello stesso posto svolsero altri casting, stavolta per una trasmissione di Rai 2 legata al mondo della Disney. Partecipai pure a quello e lo vinsi. Così avvenne il mio ingresso in ‘Che fine ha fatto Carmen San Diego’.

Da “Carmen San Diego” a “Solletico” il passo fu breve.

Era il 1994 e l’allora dirigente Rai Paola De Benedetti mi chiese di prendere in mano il programma, che sarebbe andato a sostituire ‘Big’ nella fascia pomeridiana di Rai 1. Partimmo a marzo, a stagione inoltrata e rimasi al timone per sei anni.

Come conobbe Elisabetta Ferracini?

La incontrai per la prima volta nella fase dei provini. Io ero già stato selezionato, mentre per la figura femminile partecipai a sei-sette audizioni con altrettante ragazze. A spuntarla fu proprio Elisabetta.

Mauro Serio in una foto promozionale dell'epoca.
Mauro Serio in una foto promozionale dell'epoca.

Andavate in onda in diretta per nove mesi l’anno. Uno sforzo imponente.

Oggi sarebbe impensabile. Alle spalle avevamo centinaia di persone che lavoravano per assicurare due ore di diretta, dal lunedì al venerdì. Senza contare che sul finale di stagione registravamo anche qualche passaggio per la versione estiva. Una grande fatica, soprattutto quando mi venne affidata in contemporanea la conduzione di ‘Giochi Senza Frontiere’. Un’auto mi aspettava fuori dalla Rai per portarmi a Trento. Qui facevamo le prove, giravamo e, una volta terminato tutto, venivo riportato a Milano. Negli ultimi anni di ‘Solletico’ posso dire di aver lavorato addirittura undici mesi l’anno.

Diventaste leader di fascia, detronizzando “Bim, bum, bam”.

Furono anni bellissimi, vincemmo tre Telegatti e il Premio Regia Televisiva. Purtroppo con ‘Bim, bum, bam’ ce la giocammo fino a quando non avvenne l’avvento dei Pokemon. Ebbero un successo clamoroso che ci portò a cambiare, innovare e a modificare il target. Creammo varie rubriche, come quella dedicata all’utilizzo del computer. Servì a poco, perché di lì a breve sarebbe avvenuta la totale metamorfosi della tv.

Ad influire negativamente fu anche la perdita dei cartoni della Disney.

Stavano nascendo le tv satellitari e tematiche e, comprensibilmente, Disney Channel preferì tenersi i prodotti per sé. Ma stavano cambiando i tempi e i Pokemon avevano sbaragliato la concorrenza. I piccoli che erano cresciuti con ‘Solletico’ erano ormai grandi, mentre i nuovi piccoli non erano più collegati con le nostre frequenze.

A livello simbolico, quanto pesò l’abbandono della Ferracini?

Nel gennaio 1999 subentrò Irene Ferri, ma non so che peso dare a questo fattore. La verità è che c’era stato un mutamento del piccolo schermo. Per anni fummo un varietà del pomeriggio capace di intrigare tutti, persino gli adulti. Avevamo rubriche che spaziavano dalla musica alla cucina, senza dimenticare i giochi interattivi a cui potevi concorrere usando la tastiera del telefono. Tuttavia, era in atto una trasformazione intorno a noi, erano arrivati i computer e soprattutto internet.

L’ultimo anno fu particolare: prima lasciò il testimone a Michele La Ginestra, poi venne richiamato in corsa.

Avevo condotto ‘Giochi Senza Frontiere’ e pensavano che avrei goduto del salto in prima serata. In realtà le proposte non arrivarono e siccome ‘Solletico’ era in difficolta pensarono di richiamarmi per vedere se il programma si sarebbe potuto risollevare. Non andò bene e condussi la trasmissione fino alla sua chiusura.

“Che fine ha fatto Carmen San Diego”, “Solletico” e “Giochi Senza Frontiere”. In tutti i casi parliamo di programmi costosi.

Nell’ottica di cambiamento della tv anche questo aspetto contò. I programmi che costavano meno presero il sopravvento. Una volta dietro ad una sola trasmissione si muoveva una marea di gente e per le singole puntate si affrontavano spese esorbitanti. Parecchi titoli scomparvero per quel motivo.

Si riferisce anche a “Giochi Senza Frontiere”?

’Giochi Senza Frontiere’ sarebbe dovuto terminare con l’edizione di Trento, nel 1998. Al contrario, ebbe talmente tanto successo che ne fecero una ulteriore. Ma venne realizzata col piede sinistro. Ci ritrovammo senza mezzi, con i soldi destinati altrove. Non potendo più sostenere i costi, cosa potevamo mettere in campo? Il tiro alla fune?

Nel 2001 sbarcò a Mediaset.

Un’avventura brevissima. Mi affidarono ‘Bravo Bravissimo Club’, spin off di ‘Bravo Bravissimo’. Ero un artista prestato alla conduzione di programmi di intrattenimento, ma strada facendo mi ritrovai a gestire un talk show. Oltre a questo, accadde che mi ammalai e, siccome non potevano sospendere le registrazioni, decisero di sostituirmi con Maria Teresa Ruta. A Mediaset la macchina di produzione era infernale e non ero obiettivamente abituato a certi ritmi.

Mauro Serio in uno dei suoi ruoli più recenti: "Interpreto delle assolute carogne: cattivi, assassini e via discorrendo. Forse è una sorta di legge del contrappasso".
Mauro Serio in uno dei suoi ruoli più recenti: "Interpreto delle assolute carogne: cattivi, assassini e via discorrendo. Forse è una sorta di legge del contrappasso".

Essere per tutti “quello di Solletico” ha danneggiato la sua carriera?

Per cinque anni non potei fare provini. Ero legato a doppio filo all’immagine che riconduceva automaticamente alla tv dei ragazzi. Tradotto: ero troppo riconoscibile.

Insomma, una maledizione.

Col senno di poi sono orgoglioso di aver lasciato il segno in diverse generazioni. Ho preso parte ad una tv bella, istruttiva, educativa, compiti che nel 2025 sono scaricati sulla scuola e sulle famiglie. Mi è però capitato di dover fare i conti con la realtà e di masticare amaro. Non mi aspettavo di essere messo in disparte, credevo che dopo ‘Solletico’ ci fosse una continuità lavorativa, come d’altronde era successo a miei illustri predecessori. Ma la tv era cambiata anche dall’interno.

Cosa intende?

Arrivarono dirigenti senza competenze e know-how. Tutti i miei referenti se ne erano andati ed ero rimasto senza punti di riferimento. Un giorno venni convocato per un colloquio e mi trovai di fronte uno che non sapeva minimamente chi fossi. Ed ero reduce da sei anni di successi.

La tv dei ragazzi in genere si fa in giovane età. Lei arrivò a “Solletico” a 34 anni e uscì a 40. Che sia stato quello l’errore di fondo?

Non sono d’accordo. Diciamo piuttosto che l’atteggiamento tipico degli italiani è quello di inserirti in una casella e di non toglierti più da lì. Dopo i cinque anni senza provini, ricominciai a vincerli. Nella logica che vige in questo Paese, se un personaggio è troppo legato ad un certo contesto, deve attendere di cambiare fisionomia. E io ho dovuto aspettare che mi venissero barba e capelli bianchi. Adesso la maggior parte delle volte interpreto delle assolute carogne: cattivi, assassini e via discorrendo. Forse è una sorta di legge del contrappasso (ride, ndr).

Appare spesso nelle fiction, seppur in ruoli secondari. Per quel che riguarda la conduzione possiamo invece definirla una ‘meteora’.

Ormai faccio parte del passato. Non hanno mai avuto la volontà di propormi qualcosa. Probabilmente perché è subentrata gente che non ha memoria storica. E se non hai memoria per le robe importanti, figuriamoci se ce l’hai per le cose non importanti. Ad ogni modo, fare l’attore mi soddisfa.

Di recente l’abbiamo vista in “Hanno ucciso l’uomo ragno”, la serie Sky dedicata agli 883.

Quello di Gianni è un bel personaggio. Faccio il soccorritore di ambulanza che diventa amico di Max (Pezzali, ndr) durante il suo periodo di servizio civile. Un po’ lo canzona, un po’ lo prende in giro, ma prova un grande rispetto per lui. Sotto sotto ha sempre saputo che ce l’avrebbe fatta.

Oggi cosa fa?

Da un po’ di tempo sono tornato a vivere a Trieste, città meno caotica e a misura d’uomo. Mi ritengo moderatamente felice e tra qualche mese sarò ufficialmente in pensione. In compenso, continuo a lavorare. Per Hangar Teatri tengo il corso di lettura espressiva e faccio qua e là degli spettacoli fuori dai circuiti dei teatri stabili. Tra l’altro mi succedono delle cose fantastiche.

Racconti.

Prima di una lezione ad aspettarmi c’era un papà con una bimba di sei anni. Voleva conoscermi. La piccola aveva un libricino di ricette di ‘Solletico’ che apparteneva alla mamma, una mia fan che l’ha educata facendole vedere tutte le nostre produzioni. Questa bambina di riflesso si è affezionata a me. Successivamente, si è presentata la stessa madre e mi ha svelato che pure sua mamma era stata mia fan. Di fatto, ho coperto tre generazioni. Una bella cosa.

L’intrattenimento non le manca?

Tanto tempo feci il provino a ‘Tale e Quale’. Non venni preso una prima volta e quando pensai di ripropormi mi consigliarono di lasciare stare. Per il resto, non mi sarebbe dispiaciuto nemmeno ‘Ballando con le stelle’. La danza l’ho studiata e mi è sempre piaciuta.

Milly Carlucci non l’ha mai contattata?

Non sono stato mai cercato. A dire il vero, i primi anni ci sarebbe potuto essere un mezzo approccio, però feci un incidente e mi ruppi una gamba.

L’occasione potrebbe sempre presentarsi.

A 65 anni farei fatica. In ogni caso, se dovessero ricordarsi di me potrei valutare l’idea. Ma se smetti di apparire e di essere sulla bocca di tutti, sparisci facilmente. Ci sono 30 mila persone pronte a passarti davanti.

E i reality?

No, quelli non mi interessano. Al ‘Grande Fratello’ o a ‘L’Isola dei Famosi’ darei il peggio di me. Costretto a rapportarmi con altre persone in situazioni così restrittive farei davvero fatica. Sono contesti estremi in cui non mi ritrovo, anche se ti riempiono di denari.

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