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Beppe Braida: “Il boom di Zelig e poi la crisi, il telefono smise di squillare. Mi salvai ripartendo dalle piazze”

Il comico torinese si racconta a Fanpage. Dalla lunga gavetta all’exploit a Zelig: “Mai amato i tormentoni, ‘attentato!’ nacque per caso e tutta l’Italia lo ripeteva”. Poi Colorado, da cui fu estromesso a sorpresa: “Mi arrabbiai, ma subentrò il desiderio di ripartire”. Di recente ha accettato L’Isola dei Famosi: “Mi erano saltati 67 spettacoli per il Covid, ma noi comici non siamo adatti ai reality”.
A cura di Massimo Falcioni
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“A chi sta attraversando un periodo difficile dico di non mollare. Vorrei che giungesse questo messaggio”. Beppe Braida lo ripete più volte, nel corso di un’intervista in cui passato e presente si mescolano, così come l’ascesa e la caduta di chi, dopo una lunga gavetta, ha assaporato il gusto del successo, salvo poi rimettere tutto in discussione.

Di padre piemontese e madre ciociara, la giovinezza di Braida si è divisa tra Torino e la provincia di Frosinone. “La passione dello spettacolo ce l’avevo fin da ragazzino – racconta in questa intervista a Fanpage – ma la mia famiglia aveva il culto dello stipendio. Andare a lavorare in un settore in cui vigeva la precarietà non era un’ipotesi che i miei vedevano di buon occhio”.

Nonostante ciò, la comicità e gli spettacoli dal vivo entrarono presto nella sua vita: “Calcai i primi palchi, facendo quella che si chiama gavetta. Giravo in tutta Italia, i locali in cui si svolgevano spettacoli di cabaret erano tantissimi. Mi sono esibito in pub, discoteche, cremerie, retropiste di sale da bowling. Praticamente ovunque. Mi mancano solo le camere ardenti”. Parallelamente ci sono stati i concorsi: “C’erano festival dappertutto e non me ne lasciavo sfuggire uno. Partecipai al Cabaret Amoremio di Grottammare, al Festival Nazionale di Cabaret di Bordighera e mi aggiudicai il Premio Charlot a Paestum”.

Prese parte pure al “Festival di Sanscemo”.

Una parentesi. Era una manifestazione che parodiava Sanremo dando spazio alla musica demenziale. Ci andai con ‘Il bagatto’, gruppo il cui nome si ispirava al matto dei tarocchi. Suonavo la batteria, ma capii presto che la carriera da musicista non faceva per me.

In compenso, nel 1991 approdò al “Tg delle vacanze”.

Sì, come collaboratore ai testi. Mirko Setaro dei Trettré fu il primo in assoluto a credere in me. Mi diede la possibilità di lavorare col gruppo e con lui è rimasto un grandissimo rapporto. Mi ha sempre sostenuto e ci siamo visti l’ultima volta lo scorso autunno. Ha assistito ad un mio show e questo per me è motivo di orgoglio.

Come vi conosceste?

I Trettré vennero a Torino con un loro spettacolo. Io, che avevo scritto un sacco di robe, mi permisi di entrare nel loro camerino e di lasciare a Mirko tutto il mio materiale. Eravamo a marzo. A maggio mi richiamò e mi ritrovai nella squadra del programma. Questo ambiente non ha memoria storica e riconoscenza. Non è il mio caso.

Le prime comparsate in video invece quando avvennero?

Apparvi al ‘Seven Show’, una delle prime trasmissioni comiche in onda su Italia7, e successivamente a ‘Retromarsh’, programma di Tmc ambientato in una caserma che accoglieva big come Zuzzurro e Gaspare, Gianfranco D’Angelo e gli stessi Trettré.

Si era imposto il limite dei quarant’anni. Dichiarò: “Se entro quel traguardo non avessi combinato qualcosa di buono, avrei smesso”.

Confermo. Il mio era un discorso di notorietà nazionale. Oltre quella soglia, avrei trovato personalmente patetico calcare dei palchi in luoghi non opportuni per quella determinata età. Ho conosciuto molti artisti che, pur non svoltando, hanno comunque proseguito. Ho sempre percepito una certa malinconia. Quindi la mia regola era chiara: o riuscivo a sfondare, o smettevo.

“Zelig” giunse giusto in tempo…

Ho rispettato il patto fatto con me stesso (sorride, ndr). Il mio primo intervento a ‘Zelig’ avvenne nel locale storico di Milano, quando non ci eravamo ancora spostati nel tendone.

Braida nel suo sketch di Zelig da cui nacque il tormentone.
Braida nel suo sketch di Zelig da cui nacque il tormentone.

Esplose letteralmente con la parodia dei telegiornali. Come nacque l’idea?

Davo la medesima notizia utilizzando toni differenti in base alla tipologia di tg. Con quella gag intendevo affermare un principio semplice: in Italia non abbiamo un’informazione totalmente libera. E’ sempre condizionata da vari fattori, come lo schieramento dell’editore, o l’orientamento politico del giornale. Per fare arrivare questo messaggio utilizzai due ingredienti fortissimi all’epoca: Berlusconi e il Tg4 di Emilio Fede.

“Attentato!” divenne in brevissimo tempo un tormentone.

Non sono mai stato un amante dei tormentoni. Quello nacque casualmente, in quel modo lì. Tutta Italia lo recitava, non fui io a cercarlo.

Per non ripetersi, l’anno seguente introdusse il finto collegamento con l’inviato Mingozzi.

Fu una inevitabile evoluzione. Era uno sketch divertente. Pensai che potesse essere la giusta prosecuzione. La gente rideva tantissimo e ho continuato a lungo. Ad un certo punto espressi la volontà di presentarmi diversamente sul palco. Volevo sviluppare altre cose, ma non ne ebbi la possibilità. Purtroppo la televisione ti affibbia delle etichette. Il pubblico e gli addetti ai lavori pensavano che come repertorio avessi solo quello, quando in realtà possedevo alle spalle venticinque anni di repertorio.

Il boom di “Zelig” è difficile da spiegare a chi non l’ha vissuto. Nel 2003 sfidaste “Sanremo” e vi guardarono oltre 7 milioni di italiani. Piccolo dettaglio: andavate su Italia1.

Avevamo uno share impressionante, la gente rimaneva a casa per seguirci e qualsiasi cosa portasse addosso il marchio di ‘Zelig’ interessava al pubblico.

Compresi i libri.

Immancabilmente. Pubblicai ‘Attentato’ e, a stretto giro, ‘Edizione Straordinaria’. Vendettero tanto, ma ad arricchirsi fu soprattutto l’editore.

A distanza di vent’anni la comicità è clamorosamente cambiata.

Sono mutati i tempi. Ora ci sono i social, è tutto più rapido. Le nuove generazioni usano la tecnica dello scroll, la soglia di attenzione è bassa. Pertanto, funzionano altre cose. Una volta si stava a casa e si seguiva il programma ad un determinato orario. Oggi va a segno la gag velocissima, non c’è il desiderio di guardare una cosa a lungo. Ci sono personaggi social fortissimi che però non si confermano dal vivo. Un artista va testato live, solo così puoi annusarne il reale valore.

Come fu l’impatto con la popolarità?

Difficile. Mi fermavano a centinaia, quando fino al giorno prima ero un perfetto sconosciuto. Bisogna conviverci e molte volte non è facile. Più hai successo e più hai una marea di persone che ti ronzano attorno. Devi imparare a gestire la notorietà e, venendo da una famiglia umile, ho avuto delle complicazioni.

La svolta fu anche economica, immagino.

Ho sempre prestato attenzione alla gestione del denaro, proprio per via delle mie origini. Non ho mai sperperato niente. Quello che invece ti può far cadere in confusione è l’eccesso di adulazione che le persone hanno nei tuoi confronti. È un’attenzione superficiale, perché appena vai un po’ giù spariscono tutti.

A lei è accaduto?

Sì. Il periodo più difficile per me fu il 2009. Da lì in poi il telefono smise di squillare. I vari dirigenti che prima mi contattavano per ogni cosa erano evaporati. Così come gli autori, i registi, i conduttori.

Ci torneremo. Nel 2005 finì addirittura dietro al bancone di “Striscia”.

Per una sola puntata e condussi assieme al Gabibbo. Penso di essere stato l’unico ad averlo preso a testate. In origine avrei dovuto avere come partner Fede. Inizialmente si mostrò disponibile, ma ci ripensò a poche ore della diretta. Andarono tutti nel panico e Antonio Ricci pensò a quel tipo di soluzione.

Si vendicò irrompendo durante le dirette del Tg4.

Sempre per conto di ‘Striscia’. La sua incazzatura era verissima. Feci due-tre incursioni in tutto. Era imbufalito.

Nel 2007-2008 entrò nel cast di “Buona Domenica”. Non mancarono le accuse di ‘tv trash’.

Mi chiamarono e cercai di fare il mio nel miglior modo possibile. In quel contesto ero davvero l’ultima ruota del carro. Mi ero ritagliato un mio blocco e mi concentravo su quello; del resto non mi occupavo.

Braida a Buona Domenica
Braida a Buona Domenica

Con “Colorado” si trasformò in conduttore per ben tre stagioni. Un bel balzo in avanti.

Feci coppia con Rossella Brescia e per me fu meraviglioso. Gli autori del programma mi avevano notato a teatro in uno spettacolo di Capodanno da me condotto e mi proposero di diventare capo-comico.

Venne sostituito da Nicola Savino. Come mai?

Lo appresi dal portale TvBlog. Ricordo ancora il titolo dell’articolo: ‘Nicola Savino fa fuori Beppe Braida’. Provai innanzitutto stupore. Nell’ultimo anno avevamo totalizzato quasi 3 milioni di spettatori. Mi arrabbiai, ma subentrò rapidamente il desiderio di ripartire. È stato questo spirito a salvarmi sempre.

A quel punto la chiamarono in Rai.

Collaborai con Antonella Clerici nella seconda edizione di ‘Tutti pazzi per la tele’. Una bella esperienza al fianco di una persona splendida.

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Dopo questo programma arrivò la fase difficile a cui accennava.

Sono cose che succedono e vorrei che questo mio racconto fosse uno stimolo per chi è a terra ed è convinto di non potersi rialzare. Come ti dicevo, smisero di telefonarmi e di fronte a me avevo due strade: imboccare quella che mi avrebbe portato all’esaurimento nervoso, o rimboccarmi le maniche e ricominciare. Scelsi quest’ultima e ripartii dai bar, dalle trattorie, dalle sagre e dalle feste di piazza.

Con quale umore si ricomincia da zero?

Occorre avere una grande consapevolezza. Gli anni d’esperienza che hai alle spalle non vengono cancellati. Anzi, ti tornano utili. Devi essere il primo a credere in te stesso. Non possono essere gli altri a farlo per te. L’altro giorno ero a San Benedetto del Tronto per uno show e una coppia mi ha chiesto come mai non fossi più in tv. Ho risposto con grande semplicità: ‘dovreste chiederlo alla tv’.

Nel 2021 è comunque andato a “L’Isola dei Famosi”.

Mi cercarono loro ed eravamo in piena pandemia. I miei spettacoli erano saltati, ne avevo dovuti annullare sessantasette. Una tragedia. Non ho mai amato i reality, sia da spettatore che da concorrente. Ma in quel periodo, considerata la permanenza forzata a casa, mi convinsi e accettai.

Ho una personale convinzione: i comici non dovrebbero mai partecipare ai reality. Siete delle maschere e al pubblico non andrebbe mai svelato cosa si cela sotto.

Sono perfettamente d’accordo, non siamo adatti. Un reality di soli comici avrebbe un senso, altrimenti no. Ma eravamo tormentati dal covid e avevo due alternative: rimanere sul divano a casa o andare su una spiaggia in Honduras.

Per di più pagato.

Esatto. Però non pensare che io abbia incassato cifre esorbitanti. Si trattò di un compenso normale.

Si ritirò dopo un mese.

Mi informarono che mio padre era stato ricoverato a causa del coronavirus e che mia madre era a casa, sintomatica. Essendo figlio unico, abbandonai senza esitare. La situazione si risolse, fortunatamente. Mio padre fu ad un passo dall’essere intubato, ma appena seppe che ero tornato dall"Isola' iniziò a fare delle videochiamate con me e lentamente si riprese. Tutta quella vicenda ebbe un non so che di mistico.

Ha affermato che “l’Isola ti rimane addosso, nel bene e nel male”. Ossia?

E’ un’esperienza molto forte, ti metti in competizione con te stesso e sfidi i tuoi limiti. Non mangi sul serio, sei divorato dai mosquitos e quando piove rischi davvero di inzupparti.

Il covid le consentì anche di scrivere un nuovo libro.

Sì, stavolta diverso dai precedenti. Si intitola ‘Come due aquiloni’ ed è un romanzo. Ho approfittato di quel tempo libero a disposizione per fare qualcosa che, altrimenti, non avrei mai portato avanti.

Cosa fa oggi Beppe Braida?

Giro l’Italia con i miei spettacoli, perennemente. Dal 2009, anno maledetto di cui ti ho parlato, ho sempre alternato le feste di piazza a qualche convention dove offro una conduzione non istituzionale. Di recente ho debuttato con ‘Piano B’, un lavoro scritto da me e Raffaele Skizzo Bruscella. Inoltre mi sposto con il ‘Big Comedy Ring Show’, un progetto itinerante in compagnia di vecchi amici di ‘Zelig’ e ‘Colorado’. Con loro torno a vestire i panni del capo-comico. Infine, sono il direttore artistico di un laboratorio di nuove generazioni nel locale storico di Torino Cab 41. Cerco di alimentare il loro sogno.

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