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“Soffriva troppo”, uccide moglie malata di Alzheimer. Cassazione: “Niente attenuante etica”

L’uomo strangolò la donna di 88 anni e poi andò a costituirsi, la Suprema corte ha confermato la condanna negando l’attenuante etica.
A cura di Antonio Palma
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"Non ce la facevo più", così l'uomo confessò agli agenti di aver ucciso in casa l'anziana moglie malata di Alzheimer dopo anni di sofferenza sua e della donna. Una tesi ribadita anche durante il processo per omicidio a suo carico che però ora la Corte di Cassazione non ha accolto non concedendo nessuna attenuante etica all'83enne , condannato definitivamente a sette anni e otto mesi di reclusione. I fatti contestati risalgono al nel 2014 quando l'anziano al culmine della disperazione per una situazione che non riusciva più a gestire, uccise in casa a Firenze moglie di 88 anni, affetta Alzheimer, afferrandola al collo e strangolandola con una sciarpa.

La Difesa aveva chiesto alla Suprema Corte di considerare come un valore condiviso dalla società "quello di porre fine alle sofferenze della persona, conformemente ai suoi desideri espressi in vita" perché l'uomo voleva solo porre fine "alle sofferenze di un soggetto amato, insieme all'ossequio della volontà di chi non era più in grado di esprimerla". Per gli ermellini, però, è una tesi non accettabile in quanto sull'eutanasia non si registra ancora nella società "un generale apprezzamento positivo" ed anzi ci sono "ampie correnti di pensiero che la contrastano", situazione "che impone" di non concedere le attenuanti per motivi di particolare valore etico.

L'uomo aveva spiegato anche di non voler far pesare le cure della donna sulla figlia una volta che lui fosse scomparso visto l'aggravarsi anche delle sue condizioni fisiche. Pur riconoscendo che l'uomo ha preso una decisione "difficile e disperata" quando era ormai "incapace di sopportare le sofferenze e l'inarrestabile decadimento fisico e cognitivo della moglie", la Corte di Cassazione però ha ribadito anche che è da "escludere che la consapevolezza della carenza di pubbliche strutture assistenziali idonee a coadiuvare la famiglia nell'assistenza di congiunti gravemente malati, e senza possibilità di guarigione, commista alla preoccupazione di gravare sulla vita di altri congiunti, pure se moralmente e giuridicamente obbligati verso la persona malata, possa generare, secondo la coscienza etica prevalente nella collettività, la spinta volta a sopprimere la vita dell'infermo quale motivo di particolare valore morale e sociale".

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