Test del finto cliente nei supermercati Pam, la storia di Lorenzo: “Ho vissuto un clima di terrore al lavoro”

"La notizia del ‘test del finto cliente' mi ha ricordato il clima di terrore che ho vissuto lì", è la denuncia di un ex dipendente della catena di supermercati Pam arrivata a Fanpage.it. Ispettori dell'azienda arrivano spacciandosi per normali clienti, riempiono il loro carrello e nascondono piccoli articoli dentro confezioni chiuse. Non accorgersi dell'inganno può costare il licenziamento. Questo test è costato il posto di lavoro a tre dipendenti in Toscana. La Filcams Cgil regionale parla di licenziamenti mirati verso "lavoratori con un’anzianità importante, quindi più costosi per l’azienda, oppure rappresentanti sindacali" e attacca un'azienda che, secondo il sindacato, "ricorre spesso a metodi autoritari".
Contratto da stagista nonostante anni di esperienza nella logistica
Lorenzo, nome di fantasia, ha 29 anni. Come molti suoi coetanei ha trovato una buona opportunità di lavoro all'estero e per quattro anni ha vissuto nei Paesi Bassi: "Ho lavorato nel settore della logistica, nel magazzino di un'azienda che fa spedizioni in tutta Europa e non solo. Mi sono trovato bene lì, ma due anni fa sono dovuto tornare in Italia per la situazione abitativa nei Paesi Bassi: c’è una crisi enorme ed è molto difficile trovare alloggi a un prezzo decente".
È ritornato a Roma, la città dove è cresciuto, per non dover pagare un affitto che non può permettersi. Qui, però, il suo curriculum è valso a poco e ha trovato solo lavori saltuari. "Ho fatto anche sei mesi ad Amazon a Passo Corese prima di ritrovarmi di nuovo senza lavoro l'inverno scorso. Attraverso un'agenzia interinale vengo contattato per uno stage da Pam. Considerando che non dovevo pagarmi dove vivere, accetto anche quegli 800 euro al mese. Anche perché mi era stata presentata come un percorso di formazione per diventare direttore di futuri punti vendita a Roma e nel Lazio".
"Stavo in cassa e al controllo scadenze contemporaneamente"
L'esperienza in un punto vendita Pam Local nel centro della Capitale, stando a quanto raccontato da Lorenzo, si è rivelata tutt'altro. "Dovevo stare in cassa e lavorare al controllo scadenze contemporaneamente. Quando non c’era nessuno da servire, dovevo correre ai frigoriferi. Tutto questo in un reparto enorme e tutto da solo". Nonostante il contratto da tirocinante in formazione, non sarebbe mai stato affiancato. "Da subito mi hanno messo alle casse senza un collega esperto. Inoltre, la responsabilità delle eventuali scadenze ricadeva interamente su di me: venivo rimproverato verbalmente e anche su un gruppo WhatsApp con tutti i dipendenti, con messaggi che ho ancora. In genere arrivava la foto di un prodotto scaduto con il mio nome taggato e frasi tipo ecco, non sei capace".
Una pressione enorme in turni di lavoro massacranti, secondo quanto raccontato: "8-9 ore in piedi, senza pause, o con pause di 5 minuti. In quei 5 minuti dovevi scegliere se fumare, mangiare o andare in bagno: non potevi fare tutto".
"Se provavi a lamentarti dicevano vai a casa"
Ritmi insostenibili che portavano a sforare di molto rispetto al contratto di 40 ore firmato da Lorenzo: "Non ho mai fatto meno di 42-43 ore, molte volte anche 50. Tutti questi straordinari non erano retribuiti". Ma è quello che ha definito "clima di terrore" a essere rimasto più impresso nella memoria di Lorenzo. "Non c’era modo di parlare di queste problematiche: qualsiasi cosa dicevi veniva affrontata con se non ti sta bene vai a casa. Anche i dipendenti anziani vivono nella paura di perdere l’unica sicurezza che avevano, il contratto. Si parlava con totale disprezzo dei sindacati e dei diritti dei lavoratori".
Un episodio in particolare lo scuote ancora oggi: "Ero in cassa, uno è entrato con un coltello da 20 centimetri e ha rapinato il negozio. Dopo cinque minuti sono arrivati i carabinieri e ho dato la testimonianza. Poi mi hanno fatto tornare subito al lavoro, come se nulla fosse. Non mi hanno dato neanche un’ora per riprendermi".
"La direttrice obbligava i dipendenti a trattarci male"
La pressione non sarebbe stata scaricata solo sugli stagisti, ma anche sui dipendenti con regolare contratto. "Un mio collega più anziano che in confidenza si lamentava spesso del posto – racconta Lorenzo -, un giorno mi ha aggredito verbalmente dicendomi ci stai mettendo troppo, non abbiamo tutto il giorno, che ca*** fai?. Poi si è scusato dicendo che la direttrice li obbligava a metterci pressione, a trattarci male. Ho sentito minacce di licenziamento per qualsiasi piccolo errore. E minacce di procedimenti penali se sbagliavano conteggi di cassa".
Scaduti i sei mesi Lorenzo non viene assunto nonostante le promesse: "La direttrice mi aveva detto che mi avrebbero fatto un contratto a tempo determinato per 30 ore settimanali. Ma all’azienda conviene di più prendere stagisti per sei mesi e poi mandarli via, perché costano meno: una parte la paga la Regione Lazio". Oggi Lorenzo è senza lavoro da due mesi: "Ma spero che si crei un po' di consapevolezza su quello che succede lì".