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Suore infermiere denunciano discriminazione sul lavoro: “Volevano licenziarci perché nere e religiose”

L’azienda per cui lavorano, che gestisce una Rsa, aveva deciso di trasferirle in un piccolo comune fra Lazio e Abruzzo, l’alternativa era il licenziamento. Ma loro si sono opposte: “Ci volevano costringere a scegliere fra il lavoro e la vita religiosa, è un’ingiustizia”.
A cura di Beatrice Tominic
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Da via Tuscolana a Riofreddo, un piccolo comune al confine fra il Lazio e l'Abruzzo. Questo è quanto si prospettava per due suore lavoratrici, entrambe infermiere e dipendenti di una Rsa privata, secondo quanto stabilito dall'azienda in cui lavoravano. Dalla capitale, si sarebbero ritrovate in un comune quasi montano, fra il comune laziale di Vicovaro e quello abruzzese di Carsoli.

Per le due suore, che hanno fatto voto di povertà, il trasferimento avrebbe significato la perdita del lavoro o la rinuncia alla scelta di vita religiosa. "Non avevano dubbi, avrebbero scelto la vita religiosa e lasciato l'impiego – spiegano a Fanpage.it gli avvocati che hanno seguito il caso, Carlo De Marchis Gòmez e Silvia Conti – Ma si sono rivolte a noi per fare chiarezza. Non ovviamente per un risarcimento, sarebbe stato in contrasto con i principi religiosi secondo i quali vivono, ma per denunciare un'ingiustizia". Così si sono rivolte alla Fp Cgil di Roma e del Lazio.

Cosa è successo: trasferimento o licenziamento

"Si sono presentate in Camera del Lavoro alla Cgil. Non capita spesso di trovare religiosi che si affidano a noi – hanno spiegato i legali – E ci hanno spiegato la situazione. Sono entrambe nigeriane, hanno la pelle nera. Appartengono a due ordini diversi e vivono in due conventi dove entrambe rivestono la carica di responsabili, una vive ad Anzio e l'altra a Roma. Ma lavorano entrambe in una struttura in via Tuscolana. E ad entrambe, nello stesso momento, è stato chiesto di trasferirsi in una struttura al confine fra il Lazio e l'Abruzzo".

Un luogo difficilmente raggiungibile, ancora di più per chi si sposta sui mezzi pubblici: "La suora che vive ad Anzio avrebbe impiegato 11 ore, quella a Roma almeno un paio. Sarebbe stato un vero e proprio viaggio della speranza, fra autostrade, autobus, corriera e anche un pezzo a piedi, di almeno 45 minuti, in mulattiera – continuano i due avvocati – Quando sono arrivate ci hanno spiegato che l'azienda le aveva messo di fronte al trasferimento, pena il licenziamento", dicono senza giri di parole.

"In gergo tecnico viene definito un licenziamento indiretto, avrebbero anche avuto la possibilità di fare domanda per la Naspi. Ma come ci hanno ribadito più volte, il loro interesse non era rivolto ai soldi. Anche noi stessi, come avvocati, abbiamo dovuto trovare una strategia legale che non prevedesse risarcimento, su loro richiesta – continuano – Come suore missionarie, devolvono il loro stipendio per opere di bene in Nigeria. Ma la richiesta di un risarcimento a proprio nome era fuori discussione – continuano gli avvocati – Volevano svelare un'ingiustizia. E ci sono riuscite. Anche se non conoscono ancora ufficialmente i motivi del provvedimento".

La discriminazione razziale e il fattore religioso

Prima di affrontare il procedimento i legali hanno analizzato la situazione e riscontrato un'azione di discriminazione diretta e una indiretta. "La prima è dettata dalla discriminazione razziale: le due suore erano le uniche due dipendenti della struttura con la pelle nera. E statisticamente è improbabile che due persone con una caratteristica in comune siano destinatarie di uno stesso provvedimento senza almeno una ragione comune – continuano a spiegare a Fanpage.it – Indiretta, invece, quella religiosa. Si dice indiretta quando un comportamento, di per sé lecito, penalizza concretamente la vita dei dipendenti, come con cambi di turni ad orario scomodi per famiglie omogenitoriali, ad esempio. In questo caso, invece, è il trasferimento, un provvedimento lecito, ad essere svantaggioso o, in questo caso, un vero e proprio danno, per le due suore".

Un trasferimento del genere, in alternativa al lungo viaggio per raggiungere la struttura, avrebbe rappresentato per le due religiose la fine della vita di congregazione, in convento e circondate dalle consorelle, totalmente in conflitto con i voti e lo stile di vita.

L'udienza e l'annullamento

L'azienda si è arresa alla prima udienza, che si è svolta giorni fa presso il competente Tribunale del lavoro: ha annullato il provvedimento. Le due suore non saranno trasferite, né perderanno il lavoro nella struttura di Roma. "Che si sia lamentato di loro qualche ospite della Rsa? Non è da escludere. Ma neanche in quel caso avremmo potuto chiudere gli occhi davanti ad un'ingiustizia del genere".

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