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Strage di Latina: gli aggiornamenti

Strage di Latina: Alessia e Martina uccise due volte, dal padre e dallo Stato che doveva tutelarle

Il duplice omicidio di Alessia e Martina e il tentato femminicidio di Antonietta Gargiulo non hanno come unico responsabile Luigi Capasso. Sono vittime di un sistema istituzionale e culturale che doveva tutelarle, ma che si è dimostrato cielo e omissivo.
A cura di Margherita Carlini
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Negare altre responsabilità, oltre a quella di Luigi Capasso, per la morte di Alessia e Martina ed il tentato femminicidio di Antonietta, significa disconoscere il fallimento di un sistema che aveva il compito di tutelarle. È la mattina del 28 febbraio del 2018, prestissimo, quando Antonietta esce di casa per andare a lavorare. Quella mattina è in ritardo, per cui non controlla, come faceva di solito, che il suo ex marito non sia appostato sotto la sua abitazione.

Lui è lì, all’esterno dei garage ad attenderla. Le spara tre colpi con la pistola di ordinanza. Antonietta nonostante i colpi resta vigile, e riesce a percepire che l’uomo rovista nella sua borsa e poi si allontana. Il pensiero di Antonietta va alle sue figlie, Alessia e Martina, 13 e 7 anni, che sono in casa a dormire. I soccorsi arrivano allertati dai vicini che hanno sentito gli spari e Antonietta viene portata in ospedale in gravissime condizioni, prima di perdere i sensi continua a ripetere "le bambine, su".

Non può sapere che il suo ex marito, dopo averle sparato si è introdotto nel suo appartamento utilizzando le chiavi che Antonietta aveva in borsa e ha sparato alle bambine uccidendole. Prima Martina, poi Alessia, che riesce, prima di essere uccisa da suo padre, ad inviare un messaggio a sua madre, che non può leggerlo. Luigi Capasso, carabiniere, si barrica in casa e da quel momento inizierà una lunghissima trattativa trasmessa in diretta da varie reti nazionali, per cercare di scongiurare un atto autolesivo.

Circa sette ore di mediazione nel corso delle quali nessuno tenta di entrare nell’appartamento per sapere se Martina e Alessia fossero ancora vive o potessero essere salvate. Dopo le inutili trattative, Capasso si uccide. Era il suo intento sin dall’inizio, lo si evince con certezza leggendo le lettere che aveva lasciato per i suoi familiari e l’assegno pronto per pagare i quattro funerali. Antonietta però si salva, lo fa con tenacia, lottando giorno dopo giorno affinchè il mondo sappia, conosca la sua storia e quelle delle sue figlie, affinchè loro possano avere ancora una voce.

Qualche mese fa il processo a carico di due medici dell’Arma, accusati di omicidio colposo, per aver ritenuto Capasso idoneo al reintegro e quindi al possesso dell’arma, si è concluso con un’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Anche nei confronti del personale dell’Arma dei Carabinieri che era stato informato da Antonietta della situazione di maltrattamento, non è stata riconosciuta nessuna responsabilità. Questo nonostante Antonietta, dopo aver deciso di interrompere la relazione, avesse ripetutamente chiesto aiuto, raccontato delle violenze reiterate e gravi, avesse fatto un esposto e richiesto la separazione e quindi ancora un secondo esposto.

Numerosissimi erano i fattori di rischio di recidiva e di escalation che avevano caratterizzato le dinamiche di relazione, dai precedenti di Capasso, alle violenze fisiche, il controllo ossessivo, la violenza psicologica ed anche la minaccia di suicidarsi per spaventarla e tenerla nella relazione, le aggressioni avvenute di fronte alle minori e a terze persone. Ciononostante non era stata attivata nessuna rete a tutela di Antonietta e delle sue figlie. I fattori di rischio sono stati ignorati o sottovalutati.

Per la legge pertanto nessun responsabile al di fuori di Capasso. Come se Antonietta e le sue figlie fossero state vittime dello squilibrio di un uomo, in un contesto isolato. Come se gli agiti omicidiari premeditati e posti in essere quel 28 febbraio fossero stati eventi imprevedibili, e pertanto inevitabili. Come se Antonietta quegli esposti, quelle dichiarazioni non li avesse mai fatti. Alessia e Martina invece, insieme alla loro mamma Antonietta, sono le ennesime vittime di un sistema istituzionale e culturale che continua a sottovalutare le richieste di aiuto delle donne, a minimizzare i segnali ed ignorare i fattori di rischio che sono chiaramente indicativi di un pericolo imminente, colludendo inevitabilmente con l’abusante. Negare l’esistenza di un sistema cieco ed omissivo equivale a non rendere giustizia ad Alessia e Martina ad Antonietta e a tutte le donne.

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