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L’allarme del Bambino Gesù: suicidio seconda causa di morte tra i ragazzi

Sono stati 387 i casi di emergenza per tentato suicidio al Bambino Gesù nell’ultimo anno: l’età media delle persone coinvolte è di 15 anni, il 90% dei tentativi è realizzato da ragazze.
Intervista a Prof. Stefano Vicari
Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile nella facoltà di Medicina dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell'Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
A cura di Beatrice Tominic
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Trecentosessantasette casi di emergenza registrati dal Bambino Gesù soltanto nell'ultimo anno per tentato suicidio o idee suicidiarie fra giovanissimi. L'età media è di 15 anni, il 90% dei casi riguarda le ragazze. Come se lo spiega?

Questo dato si può spiegare in maniera molto semplice: i ragazzi e le ragazze in generale reagiscono diversamente allo stress. Generalmente le femmine reagiscono con una depressione, con un comportamento depressivo, di chiusura, mentre i maschi più facilmente con aggressività. La depressione è alla base, in più dell'80% dei casi, di comportamenti autolesivi: è per questo che troviamo maggiori episodi di questo genere nelle ragazze, in linea con i dati che troviamo negli anni scorsi.

Quando i ragazzi e le ragazze coinvolte si presentano in ospedale, c'è qualche elemento che si ripete?

Dei casi che ricoveriamo, il 70% arriva in ospedale proprio per problemi legati all'autolesionismo: è un fenomeno in grande aumento, l'ideazione di comportamento autolesivi che sono esplosi negli ultimi anni. La pandemia ha avuto soltanto la funzione di detonatore: già era una situazione davanti alla quale ci trovavamo regolarmente.

I dati che abbiamo riportano numeri molto alti…

La sofferenza anche fra i giovanissimi è tanta: è questo che vogliamo ricordare con il report annuale, pubblicato il 10 settembre di ogni anno, quando ricorre la giornata internazionale dei suicidi. È importante che non vengano dimenticati i minori: il suicidio è la seconda causa di morte nei ragazzi fra i 15 e i 25 anni (dato dal CDC, Centers for Disease Control and Prevention statunitense) soprattutto nei più piccoli. Al primo posto soltanto le morti per incidenti stradali.

Ci sono degli elementi che si ripetono quando ci troviamo di fronte ad episodi di questo genere. Quali consigli possiamo dare a genitori e personale scolastico per accorgersi di questi "sintomi"?

Sì, possiamo evidenziare dei campanelli d'allarme. Il primo consiglio da dare a docenti e genitori è quello di fare attenzioni ai cambiamenti. State con i ragazzi e le ragazze: non soltanto in termini di quantità di tempo, ma anche di attenzione e registrate gli eventuali cambiamenti che dovessero emergere. Se un ragazzo o una ragazza che fino a poco tempo prima presentava un buon rendimento scolastico, faceva attività sportiva, usciva, vedeva gli amici e curava le relazioni diventa sempre più cupo, irritabile, comincia a mangiare male e a dormire peggio: questi sono elementi che devono destare l'attenzione dei genitori e degli insegnanti.

E nel caso in cui dovessero capire che qualcosa non va, cosa fare?

Non bisogna avere pausa di chiedere aiuto. Se un ragazzino o una ragazzina presenta dei comportamenti critici, i genitori non devono avere paura di chiedere aiuto ad operatori del personale sanitario della salute mentale, quindi neuropsichiatri infantili, psicologi, educatori o comunque persone in grado di mitigare il livello di sofferenza.

Quali possono essere le cause di tentativi di suicidio o dell'insorgere di idee suicidiarie?

C'è una predisposizione individuale, cioè un elemento di genetica: si tratta di disturbi biologici. Le esperienze traumatiche sicuramente non esercitano lo stesso effetto con tutte le persone allo stesso modo. Detto questo, però, il contesto ambientale modula questo rischio biologico.

Questo vuol dire che la predisposizione a determinati comportamenti si può ereditare?

Facciamo un esempio: se io nasco con un rischio per l'infarto, perché magari in famiglia ho alcuni casi e faccio una vita particolarmente sregolata in termini di alimentazione, stress, fumo sigarette e altre cattive abitudini, il contesto di vita può modulare il rischio biologico. Così succede anche con i disturbi mentali: potrei avere particolare familiarità perché mia madre era depressa o perché mio zio è morto suicida. Ma poi è lo stile di vita che io adotto, a fare la differenza.

Ad esempio?

Se vivo esperienze traumatiche, come il bullismo; appartengo a fasce di popolazione più povera; l'insuccesso scolastico, ma anche l'uso di sostanze e di dipendenze, non soltanto dalle sostanze stesse, ma ance dai dispositivi elettronici: tutto questo aumenta la possibilità che il rischio biologico si concretizzi in un disturbo vero e proprio. Non esiste un unico fattore determinante. Può influire anche vivere in una grande città o meno; in una comunità non integrata: sono davvero tantissimi gli elementi.

Ha citato anche la povertà e l'insuccesso scolastico: possiamo considerare questo numero in aumento come un fallimento della società?

Assolutamente sì: il contesto sociale può favorire un disturbo di salute mentale, così come uno di salute fisica.

È anche colpa della pandemia dell'aumento negli ultimi anni?

Sì, ma non solo. Anche le dipendenze, sia da sostanze che da dispositivi elettronici. Dovremmo educare prima i genitori: anche i ragazzini più piccoli arrivano a passare anche 6 ore al giorno col telefonino in mano. I circuiti cerebrali vengono stimolati, possono sviluppare dipendenza e favorire la comparsa di disturbi di questo tipo.

Anche in questo occorre che siano coinvolti genitori e scuola.

Dobbiamo imparare ad educare i bambini fin da subito a gestire le proprie emozioni per evitare che facciano male a se stessi e agli altri, a gestire la propria rabbia. Questo è un ruolo che riguarda sia i genitori che la scuola. Scegliere di cambiare il nome del Ministero dell'Istruzione in Ministero dell'Istruzione e del Merito un po' mi fa tremare perché implica il concetto della selezione.  invece dobbiamo pensare ad una scuola per tutti.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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