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Cibo avariato e caporalato al ristorante giapponese: lavoratori vivevano stipati in mansarda

Nella mansarda del ristorante giapponese Goya di via Nomentana poliziotti e Ispettorato del Lavoro hanno scoperto che vivevano stipati alcuni lavoratori assunti dal caporale.
A cura di Emilio Orlando
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Dall'esterno e dall' arredamento nella parte aperta al pubblico, il ristorante "Goya" sulla Nomentana sembrava un locale gourmet. Ma nel retrobottega, tra fili elettrici e cibo scaduto da anni, e ai tavoli lavoravano ventinove dipendenti sfruttati e pagati seicento euro al mese per dodici ore di lavoro, tra loro un minorenne e un ragazzo cinese costretto a dormire in strada. Una storia di caporalato e di nuova "schiavitù" nella Capitale. Il blitz della polizia è scattato all'ora di cena. Una decina di agenti del distretto di San Basilio e i funzionari dell'Ispettorato del Lavoro, hanno fatto irruzione, in maniera discreta, senza allarmare i clienti seduti ai tavoli. L'unico ad essersi "agitato", alla vista dei poliziotti è stato il titolare del ristorante, un imprenditore cinese dal fisico robusto che insieme alla moglie stava alla cassa.

Lavoratori in nero e sfruttati

"Abbiamo tutti i documenti in regola – è stata la prima esternazione del proprietario alla richiesta di esibirli da parte della polizia". Ma quando gli investigatori della prima dirigente Isea Ambroselli, che ha seguito di persona tutte le operazioni insieme agli uomini del commissariato di Sant'Ippolito e con quelli dell'Ufficio Prevenzione e Soccorso Pubblico, hanno iniziato ad approfondire il controllo con gli Ispettori del Lavoro è emerso che la posizione lavorativa dei camerieri era irregolare. Infatti è emerso che su trentanove addetti alla ristorazione, ventinove di loro lavoravano in nero. Formalmente appartenevano ad una cooperativa di somministrazione del lavoro che in apparenza aveva le carte in regola, irregolare dal punto di vista legale perché "vendeva" caporalato. Tra i lavoratori sfruttati, tutti stranieri di etnia orientale, cinesi, bengalesi e indiani anche un ragazzo di sedici anni, assunto in nero anch'egli.

Stipati in mansarda vivevano al limite della dignità

Ma oltre al "girone infernale" delle cucine, dove tra sudiciume, sporcizia, alimenti scaduti e mal conservati e scarse condizioni di sicurezza, i camerieri e i cuochi lavoravano al limite dell'umana decenza, sul tetto, in una mansarda, una volta adibita a locale cassoni, dormivano sei ragazzi. Tra finte pareti fatte con scatole di cartone, letti a castello malfermi, pareti scrostate e un impianto elettrico non a norma e ad alto rischio incendi, dormivano alcuni dipendenti. I detective dell'Ispettorato Territoriale" che si occupa di sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro, hanno "intervistato" fino a tarda notte tutti i dipendenti, che hanno confermato le pessime condizioni con cui venivano trattati.

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