Centri sociali a rischio sgombero, Ciaccheri: “È attacco a grandi città amministrate dal centrosinistra”

"Spazi come Spin Time sarà la città a difenderli, perché non può farne a meno". Dopo lo sgombero dei centri sociali Leoncavallo a Milano e Askatasuna a Torino, a Fanpage.it il presidente del Municipio VIII di Roma Capitale Amedeo Ciaccheri avverte sulla possibilità che la stessa sorte tocchi allo stabile occupato del quartiere Esquilino.
"Spin Time rappresenta un vero e proprio polo di promozione, innovazione sociale e welfare territoriale, che risponde alle esigenze del territorio. Ospita più di 400 persone ed è diventata un motore pulsante della parte migliore della nostra città, almeno per quanto riguarda il quadrante in cui si insedia", aggiunge Ciaccheri. "Per questo ieri, come Sinistra Civica Ecologista, insieme alla deputata Francesca Ghirra, abbiamo chiesto un incontro con il prefetto di Roma per avere un confronto su quelli che sono le loro intenzioni".
È stato reso pubblico dal ministro dell'Interno Matteo Piantedosi che fra i primi 6-7 posti della lista di spazi occupati da sgomberare, per Roma, ci sarebbero Spin Time e CasaPound. Possono essere trattati allo stesso modo?
No. Non sono la stessa cosa, prima di tutto, per un principio di trasparenza: gli spazi sociali come Spin Time sono pubblici, svolgono una funzione all’interno della città aperta, sono attraversati, sono luoghi di aggregazione che rappresentano quotidianamente non solo una risposta all’emergenza abitativa, ma anche un punto di vista sulla città, aperto alla contaminazione con quello che nella città avviene in modo positivo.
Sono due storie differenti per natura politica, ma lo sono anche per il ruolo che svolgono. Il problema di CasaPound non è che è un’occupazione, il problema di CasaPound è che è una organizzazione neofascista che da decenni partecipa nella città ad episodi di violenza organizzata.
È un posto chiuso, non trasparente, è un luogo che fa da sede politica. Non è lo sgombero di CasaPound in quanto occupazione il problema di CasaPound nella nostra città. Il problema è l’organizzazione attiva che negli anni ha praticato aggressioni e violenza fascista,.
Metterli sullo stesso piano è un errore innanzitutto della sinistra, e oggi diventa strumentalmente un escamotage del governo Meloni e del ministro Piantedosi. Parte della sinistra ha pensato che per difendere gli spazi sociali fosse utile chiedere una contropartita di legalità sulla pelle di CasaPound: è un errore grave, che oggi lascia in mano al governo Meloni la possibilità di giocare ancora una volta la carta retorica degli opposti estremismi e dell’equidistanza. È una linea politica che ha una storia, ma che non ha nulla a che vedere con la realtà materiale di ciò che accade dentro le città.
Adesso si parla di tregua natalizia, come a voler rimandare la questione. Si può migliorare il modo in cui si affrontano le situazioni di occupazione? Si può migliorare anche il rapporto con cui le istituzioni si interfacciano con questi spazi?
Più che migliorare, è un interesse della città riuscire a costruire un rapporto con questi spazi. Sono convinto che oggi sia importante – e per questo ci siamo attivati nei confronti del prefetto – costruire un cordone di sicurezza politica, sociale e istituzionale attorno a luoghi come Spin Time e come gli spazi sociali, soprattutto dopo quello che è avvenuto al Leoncavallo e all’Askatasuna.
Questo è il ruolo di chi è parte attiva nella vita della città, con ruoli sindacali, politici, di attivismo civico e sociale. Dopodiché, il movimento dell’autogestione, che ha permesso che nella nostra città nascessero tanti spazi diversi, ha una profondità storica e che risponde a un'esigenza consolidata dentro la città. È interesse delle istituzioni e della città continuare ad avere la possibilità di intrattenere un rapporto e costruire una cultura comune con questi luoghi.
Quando raccontiamo che Spin Time, attraverso un progetto promosso da Open Impact, ha potuto rendicontare anche in termini di valore economico l’impatto sociale che produce sul territorio – in termini di risposta all’emergenza abitativa, contrasto alla dispersione scolastica, promozione culturale – diciamo che il rapporto tra istituzioni e spazi dell’autogestione non è una questione di ‘legittimazione politica', ma un’idea di città che si impone nella realtà.
Quel posto esiste, non ha chiesto il permesso a nessuno per nascere e da solo è riuscito a costruire una risposta a bisogni generali della città e del territorio. Così come Spin Time, tanti altri luoghi della città.
Il cambio culturale non è chiedere alle istituzioni di ‘difendere i centri sociali', ma difendere le città, perché le città sono già vive grazie a posti come questi. Sono posti accoglienti, accessibili, che continuano a dare risposte ai bisogni materiali delle persone. Hanno cambiato in meglio il volto di questa città.
Fra gli spazi di cui si parla a Roma c’è anche il Forte Prenestino, occupato da quasi quarant'anni. Come immagini Roma senza questi luoghi?
Non si può immaginare Roma senza il Forte Prenestino. Non è una cosa immaginabile: non sarebbe più Roma. La logica che sta guidando questa campagna contro gli spazi dell’autogestione non è un attacco ai centri sociali, è un attacco alle città: a cambiarne il volto, l’identità, i luoghi di aggregazione, gli spazi di controcultura.
Non è immaginabile una città senza posti come Spin Time o il Forte Prenestino, perché in questi luoghi si è condensata una voce insostituibile della città. Con sano pragmatismo, dico che la volontà del governo Meloni di desertificare storie, volti, pezzi di storia sociale e politica delle nostre città non può vincere. Non ce la farà.
L’attacco agli spazi sociali è anche un attacco all’autonomia politica delle città?
È un attacco politico alle principali città italiane, dove governano coalizioni di centrosinistra, dove si concentra il consenso alternativo al governo Meloni. Si colpiscono gli spazi sociali perché rappresentano una manifestazione concreta e materiale di alternativa alla retorica di governo, senza la mediazione dei vincoli di bilancio tra Stato ed enti locali.
Per un governo che dice di avere come priorità la sicurezza dei cittadini e contemporaneamente trasforma le città in campi di battaglia, questa è la manifestazione evidente di quanto si dica una cosa e se ne faccia un’altra.
Anche nel tuo municipio ci sono centri sociali e spazi occupati, alcuni con convenzioni o altri strumenti di autogestione: penso ad esempio a La Strada o ad Acrobax. Come possono intervenire i presidenti di municipio e le giunte per tutelare queste esperienze o stabilizzare queste occupazioni?
Più che "stabilizzare", direi: come possono i presidenti di municipio, quando hanno la fortuna di avere sul territorio realtà che nascono dall’auto-organizzazione e dall’autogestione, cogliere questa opportunità? Te lo dico anche perché un pezzo di quella storia politica l’ho abitato a lungo, fa parte della mia biografia politica, e ancora oggi è parte del mio presente
I presidenti di municipio hanno un’opportunità meravigliosa e straordinaria, sicuramente faticosa, ma straordinaria: cedere sovranità verso il basso e animare processi che diano protagonismo a chi, nel territorio, trasforma e si prende cura della comunità.
Lo si fa usando gli strumenti dell’amministrazione condivisa: patti di collaborazione, progettazione e coprogettazione territoriale, animazione sociale e culturale. Ma soprattutto lo si fa riconoscendo che, in una chiave territoriale, noi riconsolidiamo il patto democratico tra cittadini e istituzioni quando diamo possibilità e ruolo a tutti i corpi intermedi: associazionismo tradizionale, spazi dell’autogestione, polisportive, scuole.
La grande sfida delle città oggi è anche nelle mani dei ‘piccoli' presidenti di municipio che, al di là dei vincoli di bilancio strutturali degli enti locali e dei limiti di potere sulla trasformazione urbana, possono confrontarsi quotidianamente con la costruzione democratica di risposte ai bisogni e ai desideri delle persone su scala locale.
Quindi per un amministratore locale avere un centro sociale sul territorio non è un problema ma un'opportunità?
Gli spazi dell’autogestione sono luoghi fondamentali. I nostri territori senza spazi come questi non sarebbero gli stessi. Ti dico di più: in questo momento storico, per le scelte maledette degli ultimi vent’anni, segnati da ubriacature tecnocratiche, abbiamo il problema opposto. Rischiamo di avere spazi per la comunità che, senza autogestione e attivazione dal basso, non riescono da soli a diventare punti di riferimento.
Rimangono vuoti, in attesa che qualcuno abbia l’opportunità di attivarsi, in alternativa alla sola logica del mercato. Perché quello che sta accadendo è che amministrazioni pubbliche sempre più deboli, per poteri e risorse, devono inventare nuovi strumenti amministrativi e legali per aprire luoghi di servizi e progetti alle persone fuori dalle logiche del consumo.
Io sono convinto che al di là degli appelli alle istituzioni, oggi le istituzioni hanno una responsabilità precisa: costruire davvero un cordone sanitario. Dopo quello che è avvenuto al Leoncavallo e all’Askatasuna, i proclami del governo ci permettono di non arrivare a preoccuparci il giorno dopo che lo sgombero è stato eseguito, ma di farlo prima. Questa è la responsabilità politica grande che abbiamo in questo momento.
Saranno le città, nelle loro varie forme di partecipazione attiva, di reti sociali che si attiveranno in queste settimane e in questi giorni, a dichiarare l’indisponibilità a rinunciare a spazi come questi. Ed è questa la forza di queste realtà.