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Opinioni

Ripresa, l’incognita resta la politica

Per Morgan Stanley l’Italia è un bravo studente che meriterebbe buoni voti, se la politica non si metterà di mezzo. Intanto però le aziende, anche le più innovative, continuano a soffrire e a volte a chiudere i battenti.
A cura di Luca Spoldi
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Morgan Stanley

Mentre le cronache politiche riportano ogni giorno prove sempre più evidenti del dilagare dei casi di corruzione in ogni organo pubblico locale come nazionale, al Nord come al Sud, a Est come a Ovest, indipendentemente dal colore politico del singolo “parassita”, mentre tra Diego Della Valle e i vertici del gruppo Fiat continuano a volare parole grosse e mentre le banche italiane restano un soggetto “a rischio” per alcune banche d’affari, il mondo produttivo italiano si scopre sempre più in affanno e a corto di innovazione. La crisi, infatti, va uccidendo indistintamente aziende grandi e piccole, famose e sconosciute, attaccate alla propria nicchia e modello di business o innovative. Un ulteriore esempio? Parlando stamane di imprenditoria nel Nord Est mi è stata raccontata la storia di una piccola impresa innovativa, che aveva saputo rivoluzionare il settore delle costruzioni in particolare ideando e brevettando un nuovo palo in grado di sostituire da solo le strutture in palafitta che vengono usate in presenza di terreni sconnessi e infidi.

Questa piccola impresa veneta non esiste più, avendo chiuso i battenti già da diversi mesi perché schiantata da una crisi che ha portato le banche a strozzare il credito (più facile investire in titoli di stato che rendono il 4% o 5% l’anno dopo aver ricevuto denaro all’1% dalla Bce che non affrontare i rischi di far credito a vecchie e nuove imprese), le aziende a dilatare fortemente i termini di pagamento, i clienti a rinviare decisioni di investimento e consumi. Ma niente paura, secondo l’Ocse grazie alle “poderose” riforme strutturali italiane se ci va bene nei prossimi 10 anni il Pil italiano guadagnerà, ceteris paribus, il 4%, vale a dire ci sarà circa lo 0,393% in più di crescita ogni anno: non proprio oro che cola ma di questi tempi sembra persino un miraggio. Qualcosa in effetti si muove: secondo Morgan Stanley, ad esempio, l’Italia sarebbe un “bravo studente” che forse potrebbe meritarsi “buoni voti”.

Per rivedere la crescita occorrerà attendere almeno metà 2013, aggiungono tuttavia gli esperti, “dato che le riforme strutturali debbono ancora raggiungere una massa critica” e la situazione macroeconomica “resta fragile”. Sul fronte dell’aggiustamento dei conti le cose sembrano andare meglio, con un “avanzo di bilancio primario che sta ulteriormente crescendo”, ma “l’ammontare considerevole di titoli di stato da rifinanziare resta il rischio maggiore”, nonostante ormai circa due terzi del debito sia ora in mano a banche o privati investitori italiani (col che, corna facendo, cresce il rischio di una eventuale “ristrutturazione forzosa” che alcuni temevano lo scorso anno quando invece era virtualmente impossibile, essendo quasi la metà del debito pubblico italiano ancora in mani estere).

Quel che preoccupa gli analisti di Morgan Stanley (e non solo loro) è il rischio che nei prossimi mesi la politica torni a gravare sul “rischio Italia” sia in termini di rischio di instabilità sia di “attitudine all’euro”. Un discorso a parte secondo gli esperti americani meritano poi le banche, per le quali, almeno in termini borsistici, sembrano esservi rischi più di un calo delle quotazioni che di ulteriori rialzi rispetto ai livelli attuali, tanto a fronte di un giudizio di “equal weight” attribuito a Intesa Sanpaolo e UniCredit, a tutti gli altri istituti viene assegnato un “under weight” (da sottopesare in portafoglio, ndr), nonostante che poi si suggerisca, come idea di trading, di investire in Btp a 5 anni, preferendoli ai titoli francesi (e spagnoli) di pari durata o a scadenze più ravvicinate.

Insomma: se tutto va bene siamo condannati a una ripresa lenta e modesta per ancora molti anni, sempre che la corruzione politica e i mille interessi di lobbies e cricche di ogni genere non impedisca ogni ulteriore riforma azzerando ogni beneficio (futuro) dei sacrifici (attualissimi), finora in verità abbastanza malamente distribuiti. Sperare che qualcuno venga a salvarci è inutile, dovremo rimboccarci tutti le maniche evitando di perdere tempo inutilmente e concentrandoci su pochi pratici obiettivi: mantenere un’occupazione o un’azienda, essere pagati in tempi ragionevoli, investire il più possibile sulle proprie competenze per poter trovare datori di lavoro o clienti se non in Italia all’estero. Nel paese in cui persino i giornalisti sembrano ogni giorno di più rimpiangere i “bei tempi di una volta” del posto fisso e garantito una rivoluzione silenziosa, senza la quale sarà vana ogni speranza di rilancio culturale ed economico. Col rischio concreto di veder ulteriormente disperso un patrimonio di competenze, innovazione e ingegnosità che nonostante tutto in molti ancora ci invidiano.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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