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Richard Ginori fallisce, Generali guarda a Est

Investire in Italia è dura: se a Firenze Richard Ginori è fallita e in trecento rischiano il posto, a Trieste Generali preferisce scommettere sull’Est Europa e rilevare il restante 49% della joint-venture Generali Ppf Holding…
A cura di Luca Spoldi
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RichardGinori

Il 2013 è appena partito e subito arrivano segnali contrastanti dal mondo delle imprese italiane, che però rafforzano entrambi la sensazione che investire in Italia resta un esercizio oltremodo faticoso e rischioso. Ieri il tribunale di Firenze, a sorpresa, ha respinto la richiesta di concordato preventivo presentata nelle settimane precedenti dai liquidatori della Richard Ginori decretando il fallimento della storica fabbrica di porcellane di Sesto Fiorentino (Firenze), che dallo scorso 31 luglio scorso aveva bloccato ogni attività e messo in cassa integrazione i suoi 314 dipendenti. Stamane invece è il gruppo Generali ad annunciare di aver raggiunto un accordo con Ppf Group per rilevare il 49% della joint-venture Generali Ppf Holding (Gph), in due tranche, per complessivi 2,5 miliardi di euro, operazione che consentirà al leone di Trieste di rafforzare la propria presenza in 14 mercati assicurativi dell’Est Europa e di salire al 38,46% della società assicuratrice russa Ingosstrakh.

La storia di Richard Ginori è peraltro l’esempio della fragilità che da tempo mina molti dei nomi “storici” dell’industria italiana anche in settori un tempo di punta del “made in Italy” come la porcellana. Correva il giugno del 2006 e già scrivevo come la società di revisione Kpmg avesse annunciato di non poter esprimere un giudizio sul bilancio 2005 di Richard Ginori, in quel momento controllata dalla Pagnossin di Carlo Rinaldini, in quanto le azioni previste dagli amministratori per riequilibrare la situazione economico-patrimoniale, già compromessa, ed in particolare l’ottenimento di una deroga al rimborso di un finanziamento in pool da 23 milioni di euro scaduto il 30 maggio di quell’anno non risultasse ancora formalizzato. L’azienda era dunque in affanno da almeno 6-7 anni, con troppi debiti e per di più controllata da un gruppo, Pagnossin, a sua volta in crisi tanto che lo stesso Rinaldini aveva sottoscritto un accordo con la Vetrofin dell’imprenditore Rocco Bormioli per la ristrutturazione e il rilancio del gruppo.

Nell’ambito di tali accordi era previsto per Richard Ginori la costruzione di un nuovo stabilimento, la trasformazione della gamma prodotti e l’ampiamento della diffusione attraverso la vendita nelle principali catene della grande distribuzione italiana. Ma l’accordo coi Bormioli non era destinato a durare ed andò in fumo già alla fine del 2006 (anno chiuso con un rosso di 6 milioni di euro su 30 di fatturato per Richard Ginori), lasciando Pagnossin e Richard Ginori alle prese con una situazione di grave dissesto. Si arriva al giugno dell’anno successivo e l’erario ottiene il pignoramento dei di Richard Ginori, propedeutico alla messa all’asta delle giacenze di magazzino e dei macchinari aziendali per onorare un debito di 5,4 milioni di euro di Iva non versata. Rinaldini da parte sua dopo la ritirata dei Bormioli provò a cercare nuovi investitori, individuati nella Basic Essence di Ronny Bonelli (azionista delle catene Viceversa e La porcellana bianca, che avrebbe dovuto rilanciare le vendite di Richard Ginori in particolare negli Usa e in Giappone) e nella Immobili Commerciali di Luca Sarreri (interessato agli stabilimenti di Pagnossin, a Treviso, per i quali si prospettava una trasformazione in centri commerciali, e nei terreni di Richard Ginori a Doccia, del valore stimato all’epoca in 100 milioni).

Anche questa seconda ipotesi dura lo spazio di un mattino: già a metà 2007 Sarreri aveva passato la mano, dimettendosi dalla presidenza di Pagnossin e Richard Ginori, mentre Rinaldini trovava un’intasa col suo socio di minoranza, la Starfin Spa di Roberto Villa, che nell’ottobre di quell’anno rilevò la controllata fiorentina. Anche Rinaldini punta sui valori dei terreni e degli immobili più che della produzione di Richard Ginori e dichiara di voler edificare per un valore di almeno 30 milioni di euro, a scopo residenziale, sull’ area occupata dalla manifattura di Sesto Fiorentino. Ma neppure questa volta il gioco di prestigio riesce e, complice la crisi economico-finanziaria esplosa l’anno dopo e protrattasi per l’Italia sino ad oggi con rare schiarite, nel maggio 2012, stante la pesante situazione finanziaria (a fine 2011 i debiti avevano raggiunto i 31,5 milioni di euro a fronte di 44 milioni di euro di ricavi, di una perdita d’esercizio salita a 37,8 milioni e di un patrimonio netto negativo per 26,89 milioni), la fabbrica di Sesto Fiorentino viene posta in liquidazione volontaria con la nomina di un collegio di liquidatori che avrebbe dovuto vendere l’azienda evitandone il fallimento attraverso la richiesta di un concordato preventivo, che il Tribunale ha ritenuto di non poter concedere.

Se Firenze piange oltre trecento posti di lavoro che rischiano di andare persi assieme a un marchio storico dell’industria italiana, Trieste non è che possa festeggiare granché. La joint venture con l’imprenditore ceco Petr Kellner (che siede nel Cda della compagnia assicurativa italiana) ha conseguito risultati importanti sia in termini di crescita dei premi raccolti sia dei margini di profitto, ma il rischio di dover sborsare 2,5 miliardi in un sol colpo nel luglio del 2014 aveva a lungo preoccupato analisti e investitori. La mossa dell’amministratore generale di Trieste, Mario Greco, elimina ogni incertezza (e pertanto piace al mercato, col titolo Generali che sale di oltre un punto percentuale in borsa) e rimodula gli impegni finanziari dando tempo al gruppo di procedere, probabilmente, a ulteriori cessioni. Ma certo non crea lavoro in Italia, dove del resto Generali è fin troppo esposta per i gusti degli investitori e dove è semmai possibile che riduca gradualmente il proprio peso. Come detto, investire in Italia resta anche agli inizi del 2013 un esercizio difficile e rischioso, meglio per molti guardare altrove. Se poi la ricchezza creata all’estero riuscirà a riaffluire in parte in Italia e sarà in grado di fare da volano alla ripresa è presto per dirlo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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