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Opinioni

Quello che ci stanno raccontando della Grecia piagnona, furba e sfaticata

I greci hanno fatto i debiti ed ora non vogliono pagarli. Tsipras, dopo aver fatto promesse impossibili, ora scarica la responsabilità della decisione sui greci. Ma siamo davvero sicuri che le cose stiano così?
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Il referendum greco è un turning point, uno di quei momenti in grado di cambiare il corso degli eventi in maniera probabilmente irreversibile. In gioco il futuro della Grecia e quello dell’Europa, su questo c’è poco da discutere. Un appuntamento dall’epilogo meno scontato di quanto si possa credere, una partita che le forze in campo stanno giocando sfruttando tutte le armi a loro disposizione. Ma anche una battaglia psicologica, che si combatte sul campo della comunicazione politica, della “narrazione dei fatti”, tanto in Grecia quanto negli altri Paesi dell’Eurozona, soprattutto in quelli considerati a rischio. E sì, anche in Italia.

Da una parte “l’Europa” che gioca la carta dell’abisso, del baratro, della vertigine, sperando che la paura del vuoto spinga i greci a sconfessare la linea del loro Governo. Dall’altra Tsipras e i suoi spingono sulla leva dell’orgoglio nazionale, chiedendo un voto di dignità e coraggio alla “Grecia che non vuole abbassare la testa”. Terminata con uno stallo la partita a scacchi tra Governo greco, Commissione Ue, Fmi e Bce, ora è il momento di prendere una decisione definitiva. Che spetta al popolo greco, secondo Tsipras. E qui apriti cielo ovviamente: come si pretende che a decidere su questioni “economico – finanziarie” di tale rilevanza siano dei semplici cittadini? Come si può pensare di scaricare la responsabilità sul popolo? Perché Tsipras non si assume fino in fondo quell’onere per cui era stato votato?

Del resto, la narrazione che sta passando è semplice, lineare. I greci hanno fatto debiti per anni e anni, sfruttando la leva del deficit per mantenere in piedi un sistema che si è nutrito di sprechi, assistenzialismo, corruzione e incoscienza. Non hanno mai messo a posto i conti, anzi li hanno truccati per entrare in Europa (in realtà, come spiega Mario Seminerio, "quello che forse non si riesce a cogliere è che la Grecia era già uno stato fallito, quando è entrata nell’euro") e beneficiare della magia dell’euro. La crisi economica ha smascherato tale bluff, ma i greci hanno provato a galleggiare sulle macerie per mesi, anni. Quando la misura era ormai colma si sono piegati al memorandum Ue ma, mentre le riforme cominciavano a dare i loro frutti ed il Pil tornava a crescere, i greci si sono fatti abbindolare da Alexis Tsipras. Il quale ha vinto le elezioni facendo sostanzialmente delle promesse impossibili, illudendo gli elettori che “un’altra strada fosse possibile”. Trovatosi a fare i conti con la realtà, Tsipras ha presentato un piano inaccettabile, rifiutandosi di fare quelle riforme che gli altri Paesi europei hanno fatto con enormi sacrifici. Non solo, ma ha continuato ad assumere statali e ricominciato a sperperare le finanze pubbliche (lo hanno scritto sul serio, eh). Messo alle strette, ha scaricato tutta la responsabilità della decisione sulle spalle dei cittadini greci, nascondendo il proprio fallimento dietro parole come dignità, orgoglio e coraggio.

Semplice, lineare, liberatorio.

Peccato che questa sia una narrazione decisamente discutibile, non solo perché semplicistica e spietata, ma anche perché lacunosa nell'individuare le responsabilità e le colpe. E, appunto, la pena.

Cominciamo dalla fine, dal referendum appunto. Paul Krugman (che magari sbaglia, eh) va un minimo oltre la versione pilatesca della scelta del leader di Siryza: "La scelta di Tsipras produrrà certo grande preoccupazione e numerose dichiarazioni sul suo scarso senso di responsabilità, ma in realtà egli sta facendo la cosa giusta, e per due motivi. Per cominciare una vittoria del referendum rafforzerà il governo, conferendogli una legittimità democratica – cosa che in Europa credo conti ancora (e se non contasse occorre saperlo) […] Il referendum di fatto chiederà agli elettori di stabilire le proprie priorità, e di conferire a Tsipras il mandato per fare ciò che deve nel caso in cui la troika lo porti a un gesto estremo". Legittimità democratica e senso di responsabilità, dunque. Anzi, se Tsipras fosse rimasto fedele al suo programma elettorale avrebbe tranquillamente potuto respingere le proposte delle istituzioni europee, avendo la legittimazione "politica" per farlo (anche se per la verità i greci hanno affidato a Tsipras il complicato compito di porre fine all'austerità ma rimanere nell'Euro). Ma ha scelto di considerare l'investitura popolare delle elezioni politiche come "non sufficiente", per una scelta così importante sul futuro della nazione.

Ma è sulla responsabilità dell’attuale stato di crisi che occorrerebbe fare qualche ulteriore considerazione, proprio per evitare semplificazioni eccessive. Nota Stiglitz a proposito del decorso che ha portato la Grecia sull’orlo del baratro (che è cominciato ben prima che Tsipras vincesse le elezioni, ovviamente): “È sorprendente come la Troika rifiuti di accettare di avere un minimo di responsabilità in tale situazione, o di ammettere di aver sbagliato previsioni o modelli di crescita per la Grecia”. A portare la Grecia nella situazione attuale non è stata "l'ideologia" di Tsipras, né le sue ricette economiche, né il suo modello di stato sociale. Ma responsabilità diffuse, dalla classe dirigente greca ai suoi partner "istituzionali", fino a coloro che sulla crisi hanno speculato. Che ora a pagare siano esclusivamente i cittadini e ancora una volta le fasce più deboli della popolazioni (certo, il sistema pensionistico greco non è sostenibile, ma allo stato attuale delle cose, le pensioni sono spesso l'unica fonte di reddito delle famiglie…quindi, che facciamo?). Scrive la parlamentare del PD Lucrezia Ricchiuti: "La Grecia ha un debito pubblico alto. In passato ha fatto pessime politiche che convenivano a tutti, soprattutto agli speculatori internazionali e alle classi agiate. Ora il Governo è d'accordo ad alzare un poco le tasse, ma non può spremere ancora le classi medie e povere che hanno già pagato abbastanza le politiche di austerity del recente passato. Quindi non può allungare l'età pensionabile in modo eccessivo e deve tassare i profitti delle imprese".

(Su questo passaggio, personalmente, credo valga la pena di leggere anche ciò che scrive sempre Seminerio, tanto brutale quanto realistico: "Non tutti i popoli sono “attrezzati” allo stesso modo per soffrire durante una crisi economica. Alcuni virano rapidamente verso scorciatoie che in realtà sono la corda a cui impiccarsi. Questa frase suona sgradevole? Me ne dispiace, non so che farci. E chi pensa che il popolo greco abbia già sofferto molto, non ha consapevolezza di quello che potrebbe accadere in un futuro sempre più prossimo")

E sugli “aiuti” che le istituzioni internazionali rinfacciano al Governo di Atene, è ancora Stiglitz a precisare: “Bisogna essere chiari, quasi nulla dell’enorme quantità di denaro prestata alla Grecia è effettivamente andata lì. Si è cominciato con il pagare i creditori del settore privato, comprese le banche tedesche e francesi. La Grecia ha avuto una miseria ma ha pagato un prezzo alto per preservare i sistemi bancari degli altri Paesi europei”. Quanto ai prestiti da onorare, non sfugga che “l’FMI e gli altri creditori ufficiali non hanno bisogno immediato del denaro richiesto […] non è una questione di soldi, ma si tratta di utilizzare ‘scadenze’ per costringere la Grecia a piegarsi, ad accettare l’inaccettabile, non solo misure di austerità, ma anche politiche regressive e punitive”. È, insomma, anche una battaglia politica. E come tale i due “eserciti” la stanno combattendo.

Il punto è che in gioco vi è ben più della semplice possibilità di prorogare gli aiuti economici o di rispettare il cronoprogramma sulle riforme strutturali. È la questione della “sovranità” ad essere tornata al centro. Nel cuore dell’Europa, per la prima volta un Paese in drammatica crisi “mette in dubbio” il monopolio del comando sulle politiche economiche. E svela cosa ne è davvero dell’Europa della solidarietà, della comunità di popoli, del cammino comune.

Insomma, non è solo questione di "fare i furbi". Almeno un minimo di dignità alla posizione greca dovremmo essere in grado di restituirlo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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